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Tumore dell’ovaio: nuove prospettive di cura attraverso il controllo dell’ormone dello stress

Per la prima volta dopo anni di ricerca, uno studio clinico mostra un miglioramento nella sopravvivenza globale al tumore dell’ovaio platino-resistente: si tratta del trial di fase III ROSELLA, i cui dati sono stati pubblicati oggi su Lancet e presentati congiuntamente al prestigioso convegno dell’American Society for Clinical Oncology (ASCO).

I risultati dimostrano una migliore efficacia della chemioterapia quando combinata con una molecola sperimentale (chiamata relacorilant) che agisce bloccando l’effetto pro-tumorale del cortisolo. Questo ormone, noto per il suo ruolo nelle reazioni di stress, è infatti capace di rendere le cellule del tumore più resistenti alla chemioterapia. La nuova combinazione terapeutica ha portato a un notevole miglioramento sia nella sopravvivenza libera da progressione che nella sopravvivenza globale, con un aumento di quest’ultima di quasi il 40%. Inoltre, il profilo di sicurezza è comparabile al trattamento con la sola chemioterapia.

Il trial clinico è stato condotto su scala internazionale, coinvolgendo 117 centri distribuiti in 14 paesi. In Europa è stato coordinato da Domenica Lorusso – oggi responsabile della Ginecologica Oncologica di Humanitas San Pio X e professoressa ordinaria di Humanitas University – mentre era Responsabile UOC Programmazione Ricerca Clinica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS a Roma. 

«Il carcinoma ovarico è uno dei tumori ginecologici più aggressivi e complessi da trattare – dichiara la prof.ssa Domenica Lorusso –. Spesso diagnosticato in stadi avanzati, presenta un’elevata mortalità a causa della sua tendenza a sviluppare resistenza ai trattamenti farmacologici standard, in particolare ai farmaci a base di platino. Per questo motivo i risultati dello studio sono così significativi: potrebbero portare a un cambiamento nelle linee guida per il trattamento di questa patologia complessa.
Un risultato possibile grazie alla collaborazione tra accademia, industria, ospedali di eccellenza e associazioni di pazienti».

Il ruolo dei recettori dello stress

Il farmaco sperimentale è progettato per contrastare uno dei principali meccanismi di resistenza del carcinoma ovarico ai trattamenti chemioterapici: l’iperattività dei recettori dei glucocorticoidi (GR). 

Il cortisolo, noto come “ormone dello stress”, regola numerosi processi fisiologici, inclusi lo stress e il metabolismo, ma svolge anche un ruolo cruciale nella progressione del cancro, stimolando i recettori dei glucocorticoidi presenti sulle cellule tumorali. Questi recettori promuovono la sopravvivenza delle cellule, riducendo il tasso di apoptosi (processo naturale di morte cellulare) e rendendole più resistenti alla chemioterapia. Non a caso, nelle pazienti con tumore ovarico alti livelli di cortisolo sono associati a prognosi particolarmente sfavorevoli.

La nuova molecola appartiene a una classe di composti chiamati antagonisti selettivi del recettore dei glucocorticoidi, che agiscono interferendo con questo meccanismo e rendendo così le cellule tumorali suscettibili all’azione del chemioterapico.

Lo studio clinico

Lo studio ha coinvolto 381 donne affette da questa grave condizione. Le partecipanti erano già state sottoposte a più linee di trattamento senza successo, incluso il bevacizumab, un farmaco comunemente utilizzato per gestire questa malattia e che agisce ostacolando la formazione dei vasi sanguigni che alimentano il tumore.

Le pazienti sono state suddivise in due gruppi: il primo ha ricevuto una combinazione di relacorilant, un nuovo antagonista selettivo del recettore dei glucocorticoidi, insieme a nab-paclitaxel, un agente chemioterapico; il secondo gruppo ha ricevuto solo nab-paclitaxel. L’obiettivo principale dello studio era valutare se l’aggiunta di relacorilant potesse rallentare la progressione della malattia e migliorare la sopravvivenza complessiva.

I risultati sono stati molto promettenti. Le pazienti trattate con la combinazione di relacorilant e nab-paclitaxel hanno mostrato un significativo miglioramento della sopravvivenza senza progressione della malattia, che è arrivata a 6,5 mesi rispetto ai 5,5 mesi delle pazienti che hanno ricevuto solo nab-paclitaxel. Ancor più rilevante è stato l’aumento della sopravvivenza complessiva: le pazienti trattate con la terapia combinata hanno raggiunto una sopravvivenza media di 16 mesi, contro gli 11,5 mesi del gruppo di controllo, un aumento clinicamente significativo.

Un aspetto altrettanto importante emerso dallo studio è stata la buona tollerabilità del trattamento combinato: gli effetti collaterali registrati sono risultati simili tra i due gruppi, confermando la sicurezza di questa nuova strategia terapeutica.

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