Le malattie infiammatorie intestinali come la malattia di Crohn e la colite ulcerosa, sono caratterizzate da uno stato di infiammazione cronica che danneggia il tratto gastrointestinale. Sebbene le cause siano multifattoriali, lo stile di vita, in particolare la dieta, ha un forte impatto sul microbiota intestinale e sulla gestione dei sintomi associati all’infiammazione.
Approfondiamo l’argomento con la dottoressa Maria Bravo, biologa nutrizionista di Humanitas San Pio X.
Qual è il legame tra dieta e infiammazione?
La dieta occidentale, caratterizzata da un elevato consumo di grassi, zuccheri e carboidrati raffinati, e da una ridotta assunzione di fibre e cereali integrali, è associata a un aumentato rischio di sviluppare malattie infiammatorie intestinali, inclusi alcuni tipi di tumori.
In particolare, un ampio studio prospettico pubblicato nel 2021 sulla rivista scientifica British Medical Journal, ha rivelato che il consumo di alimenti ultra processati – cibi e bevande con zuccheri aggiunti, ricchi di grassi, sale, coloranti, aromi e conservanti, come ad esempio, salumi e affettati, merendine, cibi da fast food e piatti pronti surgelati – è associato a un aumentato rischio di malattie infiammatorie intestinali, soprattutto per chi ne assume più di 5 porzioni al giorno. Inoltre, bevande gassate e carni processate (i salumi, ad esempio) sono stati identificati come fattori di rischio specifici.
Al contrario, le persone che seguono modelli alimentari più salutari, ricchi di cereali integrali, frutta, verdura e legumi, mostrano una minore probabilità di sviluppare condizioni infiammatorie in generale, e in particolare a livello intestinale. L’alimentazione agisce sull’infiammazione intestinale attraverso due meccanismi principali: un effetto diretto sul sistema immunitario e un’azione indiretta mediata dal microbiota intestinale, l’insieme dei microrganismi presenti nell’intestino.
Dieta e microbiota
Il microbiota intestinale gioca un ruolo centrale nella regolazione dell’infiammazione. Le fibre alimentari non digeribili, ad esempio, sono una fonte energetica primaria per il microbiota. Presenti principalmente nei vegetali freschi (frutta e verdura), nei semi quali semi di chia e di lino e nei cereali integrali, le fibre giocano un ruolo particolarmente importante nella modulazione dell’infiammazione intestinale: infatti, una volte assunte con l’alimentazione, vengono fermentate dai batteri intestinali, favorendo la crescita di specie benefiche come Bifidobacterium e Lactobacillus e producendo metaboliti che costituiscono una fonte energetica fondamentale per l’epitelio dell’intestino – il tessuto di rivestimento intestinale – e regolando la produzione di molecole (citochine) infiammatorie.
Nelle diete povere di fibre alimentari, come evidenziato dallo studio pubblicato su Frontiers in Immunology, i batteri presenti nel microbiota intestinale iniziano a utilizzare alcune sostanze presenti nella mucosa dell’intestino come fonte energetica alternativa, causando degradazione dello strato mucoso e conseguente infiammazione.
Inoltre, è da sottolineare che gli alimenti vegetali freschi sono spesso la fonte principale di vitamine e polifenoli che hanno un’azione antiossidante e antinfiammatoria generale sull’organismo.
Quali nutrienti possono aiutare a gestire i sintomi gastrointestinali?
Nelle malattie infiammatorie cronico intestinali, una gestione nutrizionale mirata, integrata con le terapie farmacologiche, si concentra sull’ottimizzazione dell’apporto di specifici macronutrienti e micronutrienti, mirando a ridurre l’infiammazione e supportare la funzione intestinale.
- Grassi (lipidi)
Gli acidi grassi omega-3, una classe di PUFA con proprietà anti-infiammatorie, possono contribuire al mantenimento della barriera intestinale e modulare l’infiammazione. Essi sono presenti nel pesce e in alcune fonti vegetali – tra cui oli vegetali, noci, mandorle, pistacchi, semi di lino, semi di chia, avocado e verdure a foglia verde -. Al contrario, gli acidi grassi saturi – presenti nelle fonti animali come le carni rosse e il burro, ad esempio – hanno dimostrato di promuovere l’infiammazione.
- Proteine e aminoacidi
L’alto consumo di proteine animali (carni rosse in particolare) è stato associato a un aumento del rischio di malattie infiammatorie dell’intestino e di ricadute. Al contrario, le proteine vegetali derivanti dai legumi e in particolare dalla soia, probabilmente per effetto anche degli isoflavoni, composti vegetali ad azione antiossidante, hanno mostrato effetti anti-infiammatori.
- Vitamine e minerali
La carenza di vitamina D è frequente nelle persone con malattie infiammatorie intestinali. La vitamina D è infatti fondamentale per la regolazione della risposta immunitaria e infiammatoria, mentre lo zinco, essenziale per le funzioni cellulari, aiuta a ridurre la produzione di citochine pro-infiammatorie, e quindi a spegnere l’infiammazione. Lo stesso vale per il selenio, importante minerale per il mantenimento dell’omeostasi della mucosa intestinale.
Come evidenziato dai ricercatori dello studio pubblicato su Frontiers in Immunology, alcuni modelli dietetici come la dieta mediterranea seguita per almeno 6 mesi, hanno dimostrato di avere effetti anti-infiammatori osservati su persone con malattia di Crohn e colite ulcerosa (con riduzione dei marcatori di infiammazione come la proteina C reattiva e la calprotectina fecale) che possono aiutare a gestire i sintomi e tenere sotto controllo la malattia infiammatoria dell’intestino.
Anche la dieta a basso contenuto di FODMAP – che esclude cereali, zuccheri (eccetto il miele), alimenti processati e la maggior parte dei latticini – ha mostrato risultati promettenti. Sebbene non sia una dieta antinfiammatoria, e sia stata sviluppata originariamente per la sindrome dell’intestino irritabile, la dieta a basso contenuto di FODMAP in persone con malattia infiammatoria intestinale lievemente attiva si è dimostrata utile nel miglioramento dei sintomi e nel controllo della malattia.
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