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Osteoporosi e menopausa: un esame per prevenire le fratture

Sempre più diffusa a livello globale e nel nostro paese, in cui dopo i 50 anni colpisce una donna su tre e un uomo ogni otto, l’osteoporosi è una malattia che indebolisce le ossa e può causare delle serie limitazioni allo svolgimento della vita quotidiana. «Con l’osteoporosi, le ossa subiscono un processo di invecchiamento “accelerato” – spiega Dario Poretti, responsabile di Diagnostica per immagini –  che le porta a perdere rapidamente massa ossea. Questo processo è ancora più frequente durante la menopausa, a causa del calo della produzione di estrogeni che contribuisce a ridurre la densità ossea. Questo, a livello clinico, si traduce in un aumento del rischio di fratture in assenza di eventi traumatici, in quanto le ossa sono sempre più fragili e quindi propense a fratturarsi anche in modo spontaneo. Tuttavia, grazie alla visita con lo specialista e all’opportuno percorso diagnostico e terapeutico, è possibile arginare la progressione dell’osteoporosi»

Fratture, con la MOC si “vede” quanto si rischia

«Importante per diagnosticare l’osteoporosi prima che compaiano le fratture scheletriche, la MOC o densitometria ossea è l’esame che permette di valutare lo stato di salute delle ossa e stimare il rischio di frattura in futuro – chiarisce Dario Poretti, responsabile di Diagnostica per immagini -. L’esame è semplice e non è pericoloso, si esegue con la tecnica DEXA che utilizza il doppio raggio X ed è a bassa esposizione radiante. Lo scopo è analizzare la massa e la quantità dei minerali, in particolare il fosfato di calcio, nelle ossa in corrispondenza della colonna vertebrale e del femore prossimale. Per le donne in post-menopausa e le altre tipologie di pazienti a rischio, l’interpretazione della MOC avviene in base a un valore di riferimento, il T-score. Questo valore corrisponde alla differenza tra il valore di densità minerale dell’osso esaminato e il campione di riferimento, cioè individui sani di 30 anni, età in cui viene raggiunto il massimo livello di massa ossea. Stando alle indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, un T-score superiore a -1 indica una situazione di normalità; un T-score compreso tra a -1 e -2.5 manifesta un’osteopenia, ossia un leggero impoverimento dell’osso; infine, un T-score inferiore a -2.5 segnala la presenza di osteoporosi e quindi un rischio sensibilmente maggiore di fratture. Dopo aver svolto l’esame, la paziente deve sottoporsi a un monitoraggio regolare (in genere dopo 18-24 mesi) per controllare un eventuale peggioramento della densità minerale ossea e valutare se la propensione al rischio di fratture ha subìto una variazione, oltre a verificare l’effettiva efficacia dei trattamenti anti-osteoporotici intrapresi»

E se la MOC non bastasse?

«Nonostante la MOC sia uno strumento fondamentale per prevedere il rischio di fratture dovute all’osteoporosi – conclude Dario Poretti, responsabile di Diagnostica per immagini in alcuni casi può non bastare. Infatti, persone hanno subìto fratture pur avendo un T-score che indicava una situazione di normalità o al massimo di osteopenia. Quest’eventualità è particolarmente frequente nei casi di osteoporosi secondaria, e per individuare i soggetti a rischio la MOC può essere integrata con un altro esame diagnostico, la misurazione densitometrica del TBS (Trabecular Bone Score). Si tratta di verificare l’eventuale alterazione di un parametro di microstruttura ossea, che nei casi di osteoporosi secondaria subisce una variazione precoce.

Oltre alla misurazione del TBS, anche un inquadramento clinico e con specifici esami biochimici è un’importante integrazione alla MOC. Infine, in determinati casi può risultare utile un esame radiografico della colonna vertebrale, combinato con la misurazione delle altezze dei corpi vertebrali, per identificare in anticipo eventuali fratture vertebrali asintomatiche che potrebbero predisporre a fratture cliniche-sintomatiche in futuro»

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