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Frattura del piede e della caviglia

Frattura del piede e della caviglia

 

Le fratture della caviglia e del piede sono eventi abbastanza comuni  che comportano nella maggior parte dei casi un trattamento chirurgico molto delicato e una lunga riabilitazione.

Quando si parla di frattura del piede, ad esempio, ci si riferisce alla probabile rottura di ossa diverse che compongono l’articolazione. Le più esposte al rischio di frattura sono: l’astragalo, il calcagno, lo scafoide, le ossa che compongono il metatarso e le ossa delle dita, vale a dire le falangi.

 

Che cos’è la frattura del piede?

Quando si parla di frattura del piede spesso si fa riferimento a un solo osso di quelli che compongono l’articolazione, anche se in alcuni casi – schiacciamento, incidenti – possono essere coinvolte più ossa. La frattura può essere netta, con due soli frammenti, o creare più frammenti. Può essere inoltre composta o scomposta.

La frattura più complessa e grave riguarda l’astragalo, osso di collegamento tra tibia-perone e calcagno. Di difficile guarigione è anche la frattura del calcagno, l’osso su cui si scarica tutta la pressione del corpo. Le fratture dell’astragalo e del calcagno hanno una lenta guarigione perché si tratta di ossa scarsamente irrorate dai vasi sanguigni e quindi la saldatura dei frammenti è meno rapida.

Fratture frequenti sono quelle del metatarso e dello scafoide, il collo del piede. Le fratture di più semplice ricomposizione sono quelle delle falangi.

Le fratture delle ossa del piede rivestono un’importanza particolare, perché possono determinare deformità e difficoltà nel camminare e nello svolgere le più semplici azioni quotidiane. Il trattamento è molto delicato per la complessità dell’articolazione e deve essere eseguito da esperti in chirurgia del piede e in centri specializzati.

La caviglia a causa della sua collazione è sottoposta a diverse sollecitazioni dovendo sopportare tutto il peso corporeo. La frattura della caviglia consiste nella rottura delle parte distale della tibia o della parte distale del perone/fibula.

 

Quali sono le cause della frattura del piede?

Le fratture si possono determinare per varie cause. Le più frequenti sono gli incidenti, in particolare gli incidenti alla guida e quelli professionali, in seguito a schiacciamento o a caduta dall’alto. Seguono i traumi sportivi, le cadute, le fratture da stress determinate da usura e movimenti ripetitivi. Un’altra causa di frattura del piede è l’osteoporosi, condizione in cui le ossa sono fragili e possono lesionarsi da sole senza urti o traumi.

 

Quali sono i sintomi della frattura del piede?

I sintomi differiscono a seconda del punto di lesione. Generalmente la frattura provoca:

-dolore vivo

-difficoltà o impossibilità a reggersi in piedi senza provare dolore

-gonfiore

-presenza di lividi e tumefazioni

-deformità (pronazione)

 

Come prevenire la frattura del piede?

Le fratture del piede si possono prevenire ponendo particolare attenzione alla protezione delle estremità con calzature infortunistiche se si svolgono lavori pericolosi. Se si pratica attività sportiva bisognerebbe evitare di sottoporre i piedi a stress eccessivi ed è raccomandata la scelta di scarpe idonee al tipo di attività fisica. Per evitare le fratture dovute a osteoporosi si dovrebbe integrare l’alimentazione con fonti di calcio e vitamina D e seguire le terapie mediche per ripristinare la mineralità dell’osso.

 

Diagnosi

Gli esami per diagnosticare le fratture del piede includono:

-radiografia del piede, che consente di visualizzare le lesioni da angolazioni diverse.

-scintigrafia ossea, mediante un mezzo di contrasto che evidenzia le zone danneggiate.

-TAC (tomografia assiale computerizzata), fornisce informazioni preziose per individuare le lesioni e le interferenze con tessuti, muscoli e legamenti consentendo di pianificare meglio un intervento chirurgico.

-risonanza magnetica, per la valutazione dello stato dei legamenti che possono essersi danneggiati durante un incidente e complicare la guarigione dell’articolazione.

 

Trattamenti

Il primo trattamento della frattura consiste nell’applicare ghiaccio, nell’immobilizzare il piede e nell’eventuale riduzione del dolore attraverso la somministrazione di antidolorifici.

Per le tipologie di fratture più semplici (come quella dell’alluce) è sufficiente immobilizzare la parte con il gesso.

Generalmente, le fratture del piede richiedono un intervento chirurgico, finalizzato alla ricomposizione (riduzione) dei frammenti e alla saldatura tramite viti metalliche, perni o piastre che vengono rimossi dopo la guarigione. All’intervento segue nella maggior parte dei casi una immobilizzazione con gesso e un periodo di riposo.

La riabilitazione fisioterapica è molto importante nel caso di fratture della caviglia e del piede. Serve a ristabilire attraverso esercizi mirati e ripetuti nel tempo l’esatta configurazione dei movimenti e un equilibrio nei rapporti tra ossa, nervi e muscoli. Durante le sedute si eseguono esercizi propriocettivi e di rinforzo muscolare.

 

Frattura dell’alluce

Frattura dell’alluce

 

La frattura dell’alluce riguarda la rottura del primo dito del piede a causa di forti traumi.

 

Che cos’è la frattura dell’alluce?

La frattura dell’alluce è un problema piuttosto comune e che in molti casi può essere risolto senza particolari interventi medici o chirurgici. Si tratta, in ogni caso, di una situazione più delicata rispetto a quella in cui a essersi fratturato è un altro dito nel piede. Nelle situazioni più gravi il dito può deformarsi o presentare delle ferite aperte.

 

Quali sono le cause della frattura dell’alluce?

Per fratturarsi l’alluce è sufficiente un duro colpo al dito, ma anche la caduta di un oggetto pesante sul dito stesso. Inoltre alcuni movimenti ripetitivi, come quelli che si eseguono praticando alcuni sport, possono causare fratture da stress alle dita dei piedi.

 

Quali sono i sintomi della frattura dell’alluce?

I sintomi tipici di una frattura dell’alluce sono dolore, gonfiore, un bruciore che può durare anche per due settimane e difficoltà di movimento. I bruciori intorno all’unghia sono particolarmente frequenti nel caso in cui la frattura sia causata dalla caduta in un oggetto sull’alluce.

 

Come prevenire la frattura dell’alluce?

Per evitare le fratture dell’alluce è importante indossare sempre scarpe adatte all’attività che si sta svolgendo. Per alcune categorie di lavoratori l’uso delle scarpe antinfortunistiche è fondamentale.

 

Diagnosi

Per diagnosticare una frattura all’alluce può essere sufficiente una semplice visita medica.

Una radiografia può aiutare a localizzare il punto esatto della frattura, ma non è sempre necessaria.

Per riconoscere una frattura da stress può essere necessaria una risonanza magnetica.

 

Trattamenti

La maggior parte delle fratture delle dita dei piedi guariscono da sole in 4-6 settimane. Nel caso dell’alluce però potrebbero essere necessarie una stecca o un’ingessatura e i tempi di guarigione potrebbero allungarsi di un paio di settimane. Nei rari casi in cui parte dell’osso si fosse rotta e allontanata dalla sua sede potrebbe essere necessario un intervento chirurgico.

Il dolore e il gonfiore scompaiono nel giro di qualche giorno o una settimana. Se necessario è possibile assumere degli antidolorifici.

Nelle prime 24 ore è utile applicare spesso del ghiaccio e per ridurre il gonfiore è utile tenere il piede sollevato. L’alluce può essere fasciato per aumentare la stabilità.

L’attività fisica può essere ripresa poco alla volta solo una volta che il gonfiore sarà svanito e che sarà possibile indossare senza dolore delle scarpe in grado di proteggere l’alluce.

 

Frattura dell’anca

Frattura dell’anca

 

La frattura dell’anca consiste nella rottura della parte del femore nota come collo del femore che unisce l’osso principale della gamba all’anca nell’articolazione coxo-femorale. Si tratta di una lesione molto grave, soprattutto se colpisce una persona anziana.

La frattura dell’anca può verificarsi a qualsiasi età, ma i casi aumentano dopo i 65 anni a causa del progressivo indebolimento delle ossa per l’osteoporosi. La causa più frequente, infatti, è una banale caduta.

 

Che cos’è la frattura dell’anca?

La frattura dell’anca è una delle maggiori emergenze sanitarie in ambito geriatrico. Il 30% dei pazienti con più di 65 anni che subisce una frattura dell’anca muore dopo un anno per una combinazione di problemi innescati dalla disabilità grave provocata dalla frattura, tra i quali principalmente la perdita di autonomia. È indispensabile un trattamento chirurgico eseguito tempestivamente, seguito dalla riabilitazione e da un monitoraggio costante della salute del paziente anziano.

L’anca è un’articolazione molto complessa e si parla di frattura quando la rottura si verifica tra la cartilagine dell’articolazione e un punto posto cinque centimetri sotto il piccolo trocantere, il punto del femore in cui si inseriscono importanti muscoli che rendono possibile il movimento.

Le fratture dell’anca si classificano a seconda del punto in cui è presente una lesione intra-capsulare o extra-capsulare.

Le fratture intra-capsulari si verificano nel punto in cui il femore si unisce all’anca, la capsula, formata da fibre legamentose. È la più grave delle fratture perché si tratta di un punto molto vascolarizzato e quindi esposto al rischio di morte (necrosi) del tessuto osseo.

Si distinguono anche le fratture intertrocanteriche e sottotrocateriche.

 

Quali sono le cause della frattura dell’anca?

La principale causa di frattura dell’anca, soprattutto nell’anziano, è la caduta accidentale. Se il paziente soffre di osteoporosi il rischio è molto più alto. Nel paziente giovane, la frattura è spesso legata a incidenti stradali o a traumi sportivi.

Tra le cause collegate non bisogna dimenticare il sesso (le donne in menopausa soffrono un più rapido indebolimento delle ossa), farmaci a base di cortisone, fattori nutrizionali (quali un’alimentazione povera di calcio e vitamina D), sedentarietà, fumo e abuso di alcol.

 

Quali sono i sintomi della frattura dell’anca?

I sintomi della frattura dell’anca differiscono a seconda del punto di lesione. Generalmente la frattura provoca:

-dolore acuto

-incapacità di muoversi subito dopo la caduta

-difficoltà di stare in piedi e di scaricare il peso sul lato dell’anca lesionata

-gonfiore

-presenza di lividi e tumefazioni

-rotazione verso l’esterno della gamba interessata

-deformazione e accorciamento dell’arto interessato

Le fratture non trattate adeguatamente possono dare luogo a complicazioni che comprendono artrosi post-traumatica, infezioni, deformità, rigidità articolare, vale a dire difficoltà a muovere correttamente l’arto, andatura claudicante. La frattura dell’anca comporta anche numerose complicazioni legate alla mancanza di autonomia e alla necessità di un lungo periodo di ricovero o di allettamento. Queste comprendono: trombosi venosa, pieghe da decubito, infezioni delle vie urinarie.

 

Come prevenire la frattura dell’anca?

Le fratture del femore si prevengono ponendo particolare attenzione alla protezione delle articolazioni se si svolgono attività sportive. È buona norma non sottoporre l’articolazione a movimenti ripetuti e usuranti. Per evitare le fratture dovute a osteoporosi si dovrebbe integrare l’alimentazione con calcio e vitamina D e seguire le terapie mediche prescritte.

Per prevenire le cadute le persone anziane dovrebbero indossare scarpe comode con suole antiscivolo, rimuovere gli ostacoli presenti in casa come i tappeti, illuminare bene gli ambienti, fare attenzione se si cammina all’esterno su superfici scivolose.

Gomito del tennista o epicondilite

Gomito del tennista o epicondilite

 

Il “gomito del tennista” è un’espressione che viene comunemente utilizzata per indicare l’epicondilite, un’affezione a carico del gomito dovuta alla degenerazione di un tendine alla sua inserzione ossea sull’epicondilo omerale (piccola sporgenza ossea terminale dell’omero che si trova nel gomito). Questa condizione, che provoca dolore anche molto intenso, è una conseguenza del sovraccarico tendineo dovuto a una continua sollecitazione dei muscoli epicondiloidei (quei muscoli, cioè, che permettono l’estensione del polso e delle dita della mano). La fascia di età più colpita da questo disturbo è quella dai 30 ai 50 anni.

 

Che cos’è il gomito del tennista?

Il gomito del tennista è una patologia degenerativa – se non trattata peggiora con il passare del tempo – e di solito è determinata da un sovraccarico funzionale (da un uso, cioè, eccessivo e continuato del gomito).  La condizione può essere provocata dalla ripetizione di movimenti anche leggeri, come l’utilizzo del mouse o la digitazione sulla tastiera del computer.

 

Quali sono le cause del gomito del tennista?

Come anticipato poc’anzi il gomito del tennista di solito è determinato da un  eccessivo e continuato del gomito. Si manifesta quindi più frequentemente in quei soggetti che, a causa di specifiche attività sportive o lavorative, ripetono frequentemente movimenti che interessano gomito, polso e mano.

 

Quali sono i sintomi del gomito del tennista?

Il dolore a livello del gomito è il sintomo più indicativo dell’epicondilite. Inizialmente il dolore è circoscritto al gomito, si manifesta quando si compiono movimenti di estensione del polso o della mano contro una resistenza e tende ad aumentare se sollecitato attraverso movimenti che richiedono il coinvolgimento dei muscoli dell’avambraccio. Se l’affezione non viene trattata, il dolore può irradiarsi lungo l’avambraccio e persistere anche a riposo.

 

Come si previene il gomito del tennista?

Per prevenire lo sviluppo dell’epicondilite è necessario limitare al minimo quelli che sono i fattori di rischio legati allo sviluppo di questa condizione.

Tra questi:

-sovraccarico funzionale dei muscoli e dei tendini del gomito.

-sforzi eccessivi connessi ai movimenti del braccio, e in particolare del gomito.

-danni diretti (come i movimenti scorretti o l’eccessiva estensione dell’avambraccio).

Infiammazione della cuffia dei rotatori

Infiammazione della cuffia dei rotatori

 

La cuffia dei rotatori è il complesso dei quattro muscoli (con i rispettivi tendini) che concorre al movimento dell’articolazione della spalla nei vari piani dello spazio e che tiene stabile l’articolazione fra la scapola e l’omero (l’osso che appartiene alla parte superiore del braccio).

La tendinite della cuffia dei rotatori è l’infiammazione di uno (o più) tendini che la costituiscono, mentre la borsite è l’infiammazione di una delle borse (cioè piccole “sacche” con un contenuto fluido che servono a diminuire gli attriti durante i movimenti).

 

Che cos’è l’infiammazione della cuffia dei rotatori?

Un’infiammazione dei tendini della cuffia dei rotatori è una condizione molto comune e viene caratterizzata generalmente da dolore (presenta sia col movimento che a riposo) e da limitazione nell’esecuzione di alcuni movimenti.

Spesso, specialmente quando la causa dell’infiammazione è l’eccessivo sforzo, l’infiammazione si risolve attraverso il riposo, il ricorso a farmaci antinfiammatori e a terapie fisiche e fisioterapiche.

 

Quali sono le cause dell’infiammazione della cuffia dei rotatori?

L’infiammazione della cuffia dei rotatori può essere causata da traumi, dall’eccessiva ripetizione di movimenti che stressano l’articolazione fra scapola e omero, dalla naturale degenerazione delle strutture tendinee dovuta all’età o da postura e movimenti impropri per l’articolazione. Ancora più frequente è che sia causata da una combinazione dei fattori appena descritti.

 

Quali sono i sintomi dell’infiammazione della cuffia dei rotatori?

L’infiammazione della cuffia dei rotatori è caratterizzata da dolore, a volte difficilmente localizzabile, della spalla sia con i movimenti che  a riposo (soprattutto nelle ore notturne), da debolezza muscolare della spalla e da perdita di ampiezza nei relativi movimenti.

 

Quali sono i fattori di rischio dell’infiammazione della cuffia dei rotatori?

Alcuni tipi di attività sportiva sollecitano particolarmente l’articolazione fra scapola e omero o la espongono a una maggiore probabilità di infiammazione. Fra questi, i più diffusi sono tennis, nuoto, canottaggio, sollevamento pesi, basket, rugby e tutti gli sport di lancio.

L’età, inoltre, è uno dei fattori più importanti, poiché con l’aumentare dell’età diminuisce l’afflusso di sangue all’articolazione, e con esso la quantità di proteine fibrose (soprattutto collagene) che vengono fissate a tendini e muscoli. È questo il motivo per cui la maggior parte delle persone anziane ha problemi con la cuffia dei rotatori e presenta spesso lesioni, anche asintomatiche.

Anche patologie metaboliche (es. diabete) o abitudini di vita (fumo) predispongono allo sviluppo di patologie a carico della cuffia dei rotatori.

L’infiammazione può tuttavia derivare anche dallo svolgimento di un lavoro che sollecita l’articolazione in modo continuo o da una predisposizione personale, dovuta alla naturale conformazione dell’articolazione o alla debolezza muscolare.

 

Come prevenire l’infiammazione della cuffia dei rotatori?

Mentre non è possibile avere la certezza di prevenire l’infiammazione della cuffia dei rotatori, è facile diminuire le possibilità di una infiammazione e di una lacerazione traumatica o da degenerazione attraverso i seguenti accorgimenti:

-esercitare regolarmente la spalla per mantenere flessibilità e forza della muscolatura.

-fare attenzione agli sforzi che riguardano l’articolazione fra spalla e omero.

-riposo quando l’articolazione duole o è infiammata.

-sottoporsi ad un controllo specialistico in caso di persistenza della sintomatologia.

 

Diagnosi

L’infiammazione della cuffia dei rotatori si diagnostica solitamente attraverso l’esame fisico, in quanto il dolore nel compiere certi movimenti è sufficiente a confermare la condizione. Metodi più approfonditi, come la risonanza magnetica o l’ecografia della spalla, servono a escludere che il dolore sia dovuto ad altre condizioni, come lacerazioni o fratture.

La radiografia, invece può essere utilizzata per rendere visibili eventuali imperfezioni ossee che ne sono talvolta la causa della lenta consunzione del tendine, o per evidenziare eventuali calcificazioni del tendine dovute alla degenerazione.

 

Trattamenti

Nella maggior parte dei casi un periodo di riposo, l’assunzione di farmaci antinfiammatori non steroidei e l’impiego di terapie fisiche e fisioterapiche sono misure sufficienti per trattare l’infiammazione della cuffia dei rotatori.

Nei casi in cui il problema risulta di maggiore entità, può essere consigliata la terapia con onde d’urto focali. Questa terapia è indicata sia in presenza di calcificazioni che in loro assenza poiché non serve a “rompere” i depositi di calcio, ma si basa su una stimolazione meccanica dei tessuti della spalla allo scopo di indurre un effetto antinfiammatorio e rigenerativo.

In alcuni specifici casi, lo specialista può prescrivere invece un trattamento basato su infiltrazioni di corticosteroidi, per alleviare più rapidamente l’infiammazione.

In alcuni ancora più rari casi (meno dell’1%) si può arrivare alla necessità di un intervento chirurgico per risolvere non tanto il problema dell’infiammazione tendinea, quanto la presenza di eventuali lesioni associate.

Lesione del legamento crociato anteriore

Lesione del legamento crociato anteriore

 

Il legamento crociato anteriore è uno dei quattro legamenti più importanti del ginocchio.  Si incrocia, insieme al legamento crociato posteriore, al centro dell’articolazione. La sua funzione è quella di stabilizzare il ginocchio impedendo lo spostamento anteriore della tibia rispetto al femore.

Traumi distorsivi diretti o indiretti che causano rotazioni forzate o un’eccessiva estensione del ginocchio possono causarne la rottura totale o parziale. La lesione del LCA è uno dei traumi sportivi più comuni, in modo particolare nello sci e nel calcio.

 

Che cos’è il legamento crociato anteriore?

Il legamento crociato anteriore è un fascio di tessuto fibroso molto resistente, posto al centro dell’articolazione del ginocchio ed ha un ruolo fondamentale nel garantirne la stabilità sia nei movimenti di flesso-estensione che di rotazione. È costituito funzionalmente da due fasci, uno antero-mediale più voluminoso ed uno postero-laterale più piccolo.

 

Quali sono le cause della lesione del legamento crociato anteriore?

Esso può essere sottoposto a forti sollecitazioni meccaniche soprattutto durante l’attività sportiva e può andare incontro a rottura. Il meccanismo di lesione più frequente, è il movimento involontario di valgo-rotazione-esterna mentre il piede è fisso al suolo.

Gli sport in cui sono più frequenti questi meccanismi traumatici sono il calcio, lo sci e la pallacanestro. Gli incidenti stradali sono la seconda causa principale di lesione del legamento. L’entità e il tipo di lesione, sono correlati all’intensità del trauma per cui potremmo avere una lesione parziale o totale. Spesso si associano anche lesioni ad altre strutture come la cartilagine, i menischi o i legamenti collaterali.

 

Quali sono i sintomi della lesione del legamento crociato anteriore?

Quando avviene una lesione del legamento crociato anteriore il paziente sente il ginocchio cedere e ha la sensazione che qualcosa si sia rotto all’interno del suo ginocchio oppure che qualcosa sia andato fuori posto. I sintomi principali sono il dolore, il gonfiore e la difficoltà a muovere l’articolazione. Solitamente dolore e gonfiore si risolvono nel giro di 2 settimane circa dopo il riposo e l’utilizzo di ghiaccio e FANS (Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei)  mentre permane l’instabilità che non permette al paziente di ritornare alla pratica sportiva.

 

Prevenzione

La prevenzione delle lesioni da sport si ottiene ponendo particolare attenzione alla sicurezza durante lo svolgimento di attività sportive anche non agonistiche e mantenendo sempre un buon tono della muscolatura della gamba che funga da protezione per il ginocchio.

 

Diagnosi

Per la diagnosi il medico procede ad un esame dell’articolazione e di alcuni specifici test che consentono di valutare la lassità legamentosa del ginocchio. Tra gli esami usati vi sono:

-test di Lachman

-jerk test

-test del cassetto anteriore

A questo si aggiungono gli esami strumentali che includono:

-esame radiografico del ginocchio per valutare eventuali fratture o lesioni ossee associate

-risonanza magnetica per la valutazione delle lesioni legamentose e meniscali

 

Trattamenti

Una volta effettuata la diagnosi di lesione del legamento crociato anteriore la cura può essere conservativa o chirurgica. Inizialmente il medico potrà consigliare un periodo di riposo associato a terapie con farmaci antinfiammatori e l’applicazione di ghiaccio locale. La scelta corretta del trattamento dipende dalla valutazione di fattori come l’età del paziente, la richiesta funzionale e lo stile di vita.

In presenza di una lesione del legamento crociato anteriore è possibile svolgere le normali attività di vita quotidiana evitando tuttavia di praticare attività sportive ed in modo particolare sport da contatto e che richiedono cambi direzionali durante il movimento come il calcio, lo sci, il basket e la pallavolo. In caso di lesione parziale a volte è possibile evitare l’intervento facendo ginnastica di rinforzo dei muscoli della coscia.

Una lesione totale non riparata, invece, espone l’articolazione al rischio di nuove distorsioni che possono poi causare lesioni ai menischi o alla cartilagine e allo sviluppo di un’artrosi precoce. Per questo, il trattamento chirurgico viene proposta a tutti i pazienti giovani.

La chirurgia di riparazione del legamento crociato anteriore è una procedura usata molto frequentemente ed è finalizzata alla ricostruzione del legamento leso con un tessuto sostitutivo. Questo può essere un tendine prelevato dallo stesso paziente (innesto) o, più raramente un tessuto prelevato da un donatore di organi (trapianto).

Nel caso di innesto il tessuto prelevato può essere la porzione centrale del tendine rotuleo (che connette la rotula con la tibia), i tendini della zampa d’oca (gracili e semitendinosi) oppure la porzione centrale del tendine quadricipite.

L’intervento chirurgico, ormai eseguito con tecnica artroscopia, comprende quattro fasi:

-l’asportazione dei residui del legamento crociato anteriore danneggiato e la preparazione dell’alloggiamento del nuovo legamento

-la realizzazione di tunnel ossei nel femore e nella tibia per l’inserimento del nuovo legamento

-l’inserimento del nuovo legamento nell’articolazione

-la fissazione del neo-legamento

La tecnica artroscopica è una procedura mini-invasiva, che può essere eseguita in anestesia loco-regionale e che, mediante un apparecchio chiamato artroscopio, permette di visualizzare le strutture articolari del ginocchio.

La tecnica a cielo aperto non si utilizza più se non per riparare altre strutture del ginocchio come in caso di lussazione della rotula o di gravi lesioni della capsula articolare.

La riabilitazione è indispensabile per un recupero completo della funzionalità e dell’articolarità del ginocchio. Il programma riabilitativo può variare a seconda della tecnica chirurgica utilizzata e del tipo di procedure chirurgiche eseguite. Essa si basa comunque su esercizi che permettono un recupero completo della mobilità e del tono muscolare della gamba.

Lesione del legamento crociato posteriore

Lesione del legamento crociato posteriore

 

Il legamento crociato posteriore è strutturalmente il più grosso e il più robusto dei legamenti del ginocchio. Il nome deriva dalla sua inserzione sulla parte posteriore della tibia. Esso concorre con il legamento crociato anteriore alla stabilità dell’articolazione.

La lesione del legamento crociato posteriore (LCP) è molto più rara di quella del legamento crociato anteriore e spesso è causata da traumi sportivi o da incidenti automobilistici. Si verifica tipicamente in caso di impatto del ginocchio contro il cruscotto dell’auto durante un incidente stradale (trauma da cruscotto) e anche in molti sport di contatto.

 

Che cos’è il legamento crociato posteriore?

Il legamento crociato posteriore è un fascio di tessuto fibroso molto resistente, teso tra il femore e la tibia ed ha un ruolo fondamentale nel garantirne la stabilità del ginocchio impedendo la traslazione posteriore della tibia. È costituito funzionalmente da due fasci, uno antero-laterale ed uno postero-mediale.

 

Quali sono le cause della lesione del legamento crociato posteriore?

La lesione del legamento crociato posteriore è molto meno frequente di quella del legamento crociato anteriore e rappresenta circa il 10% di tutti i casi di lesione del ginocchio.

Il legamento si lesiona generalmente per traumi violenti (cosiddetti ad alta energia), frequenti durante incidenti stradali o per traumi meno violenti (a bassa energia), possibili anche durante la pratica sportiva. Generalmente è necessario un impatto molto forte sulla parte anteriore della tibia che può verificarsi durante la pratica di sport da contatto quali il rugby o l’hockey.

 

Quali sono i sintomi della lesione del legamento crociato posteriore?

I sintomi della lesione del legamento crociato posteriore sono importanti come quelli di una lesione del legamento crociato anteriore. Anche in questo caso è possibile avvertire una sensazione di rottura all’interno del ginocchio durante il trauma e si può presentare dolore e difficoltà a muovere il ginocchio, soprattutto in pendenza e nello scendere le scale. La lesione isolata del legamento crociato posteriore tuttavia non causa fenomeni di instabilità articolare.

 

Prevenzione della lesione del legamento crociato posteriore

La prevenzione delle lesioni da sport si ottiene ponendo particolare attenzione alla sicurezza quando si svolgono attività sportive anche non agonistiche e mantenendo sempre un buon tono trofismo della muscolatura della gamba che funga da protezione per il ginocchio.

 

Diagnosi

Per la diagnosi il medico procede ad un esame dell’articolazione e si avvale di alcuni specifici test che consentono di valutare la lassità legamentosa del ginocchio.

A questo si aggiungono gli esami strumentali che includono:

-esame radiografico del ginocchio per valutare eventuali fratture o lesioni ossee associate

-risonanza magnetica per la valutazione delle lesioni legamentose e meniscali

-TC per valutare eventuali lesioni ossee associate

 

Trattamenti

Il legamento crociato posteriore, contrariamente all’anteriore, ha una discreta capacità di guarire e sviluppare una “cicatrice” funzionalmente valida. In molti casi di lesione parziale un buon trattamento fisioterapico riesce efficacemente a ripristinare una buona funzionalità del ginocchio. Ad esso si associa spesso l’utilizzo di un tutore specifico che mantiene il ginocchio nella posizione più consona a favorire la guarigione.

L’intervento chirurgico è indicato quando la rottura è completa ed interferisce con la funzionalità del ginocchio oppure in caso di fallimento della terapia conservativa. Viene consigliato a tutti i pazienti giovani con lo scopo di prevenire una precoce usura (artrosi) e favorire un ritorno alla pratica sportiva.

La chirurgica di riparazione del legamento crociato posteriore è una procedura finalizzata alla ricostruzione del legamento leso con un tessuto sostitutivo. Questo può essere un tendine prelevato dallo stesso paziente (innesto) o, più raramente, un tessuto prelevato da un donatore di organi (trapianto).

Nel caso di innesto il tessuto prelevato può essere la porzione centrale del tendine rotuleo (che connette la rotula con la tibia), i tendini della zampa d’oca (gracile e semitendinosi) oppure la porzione centrale del tendine quadricipite.

L’intervento chirurgico, ormai eseguito con tecnica artroscopia, comprende quattro fasi:

-l’asportazione dei residui del legamento crociato posteriore danneggiato e la preparazione dell’alloggiamento del nuovo legamento

-la realizzazione di tunnel ossei nel femore e nella tibia per l’inserimento del nuovo legamento

-l’inserimento del nuovo legamento nell’articolazione

-la fissazione del  nuovo legamento

La tecnica artroscopica è una procedura mini-invasiva, che può essere eseguita in anestesia loco-regionale e che, mediante un apparecchio chiamato artroscopio, permette di visualizzare le strutture articolari del ginocchio.

La tecnica a cielo aperto non si utilizza più se non per riparare altre strutture del ginocchio lesionate, come in caso di lussazione della rotula o di gravi lesioni della capsula articolare.

La riabilitazione è indispensabile per un recupero completo della funzionalità e dell’articolarità del ginocchio. Il programma riabilitativo può variare a seconda della tecnica chirurgica utilizzata e del tipo di procedure chirurgiche eseguite. Essa si basa comunque su specifici esercizi che permettono un recupero completo della mobilità e del tono trofismo muscolare della gamba.

 

Lesioni meniscali

Lesioni meniscali

 

I menischi sono 2 cuscinetti di fibrocartilagine a forma di C presenti nel ginocchio. Essi si interpongono tra femore e tibia e fungono da ammortizzatori dell’articolazione. Le lesioni meniscali sono piuttosto frequenti, colpiscono soggetti di qualsiasi età e possono essere di origine traumatica, come conseguenza di un trauma o una distorsione, di origine degenerativa oppure correlate a malformazioni congenite (come ad esempio menisco discoide).

 

Cosa sono i menischi?

I menischi sono degli elementi di fibro-cartilagine con forma simile a una “C” inseriti tra le due ossa del femore e della tibia. La loro principale funzione è quella di assorbire gli urti a cui il ginocchio è sottoposto ogni giorno permettendo una migliore distribuzione dei carichi sulla cartilagine articolare e una corretta meccanica di movimento.

 

Quali sono le cause della lesione del menisco?

La lesione del menisco è la più comune lesione del ginocchio. Essa infatti può avvenire a causa di un processo degenerativo, in caso di lavori che obbligano in maniera eccessiva a una certa posizione oppure in seguito a traumi di varia origine, tra cui quelli di tipo sportivo.

 

Quali sono i sintomi della lesione del menisco?

Il sintomo più caratteristico è il dolore associato, o meno, al rigonfiamento dell’articolazione. Spesso è possibile avere dei blocchi articolari con impossibilità a flettere o estendere il ginocchio a causa di frammenti di menisco lesionato che interferiscono con la normale mobilità.

Il dolore può poi causare perdita di forza del quadricipite e limitazioni funzionale.

 

Diagnosi

Per la diagnosi il medico procede ad un esame dell’articolazione e di alcuni specifici test che consentono di valutare l’integrità o meno dei menischi. Tra gli esami più usati:

-test di Appley

-test di McMurray

-palpazione della rima articolare

A questo si aggiungono gli esami strumentali che includono:

-l’esame radiografico del ginocchio per valutare eventuali fratture o lesioni ossee associate

-la risonanza magnetica rappresenta l’esame strumentale avanzato più idoneo per la diagnosi e per la valutazione delle lesioni legamentose e catilaginee

 

Prevenzione delle lesioni del menisco

La prevenzione delle lesioni traumatiche si ottiene ponendo particolare attenzione alla sicurezza quando si svolgono attività sportive anche non agonistiche e mantenendo sempre un buon tono della muscolatura della gamba che funga da protezione per il ginocchio. Può essere utile correggere fattori predisponenti come le deviazioni dell’asse della gamba, come il ginocchio varo (gambe a O) e il ginocchio valgo (gambe a X) o eventuali lesioni legamentose. Nel caso di lesioni degenerative è necessario evitare il sovrappeso con una dieta equilibrata associata a regolare attività fisica.

 

Trattamenti

Il trattamento conservativo solitamente è indicato come prima linea di trattamento soprattutto in caso di lesioni meniscali di tipo degenerativo in pazienti di non più giovane età. I trattamenti consistono in:

-riposo

-ghiaccio locale

-FANS (Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei)

-fisioterapia

-terapie fisiche

Se il trattamento conservativo fallisce oppure in caso di giovane età del paziente, di blocco articolare o di lesione traumatica è necessario intervenire chirurgicamente. Se possibile la lesione meniscale viene suturata, ma purtroppo molto spesso è necessario rimuovere la parte di menisco lesionata. L’intervento viene eseguito con tecnica artroscopica mediante l’esecuzione di due piccole incisioni nel ginocchio attraverso cui è possibile far entrare un apparecchio chiamato artroscopio, che permette di visualizzare le strutture articolari del ginocchio e gli strumenti usati per rimuovere o suturare il menisco.

La tecnica a cielo aperto non si utilizza più se non per riparare altre strutture del ginocchio lesionate come in caso di lussazione della rotula o di gravi lesioni della capsula articolare.

La riabilitazione è indispensabile per un recupero completo della funzionalità e dell’articolarità del ginocchio. Il programma riabilitativo si basa su specifici esercizi che permettono un recupero completo della mobilità e del tono muscolare della coscia.

 

Lussazione

Lussazione

 

Il termine lussazione deriva dal latino luxus e significa “andato fuori posto, slogato”. Si parla di lussazione quando, all’interno di una articolazione, i capi articolari si spostano dalla loro posizione fisiologica. La lussazione è  completa quando le superfici dei capi articolari interessati dall’infortunio arrivano a non toccarsi più, mentre si definisce incompleta quando tra le superfici articolari viene mantenuto un rapporto di contatto. Le lussazioni possono essere classificate in base alla loro causa e  possono quindi essere traumatiche, congenite e patologiche.

 

Che cos’è la lussazione?

La lussazione può interessare tutte le articolazioni, ma quelle più frequentemente interessate sono la spalla e le dita, seguite da gomito, ginocchia e fianchi.

 

Quali sono le cause della lussazione?

Le lussazioni più frequenti sono quelle causate da traumi. L’origine del trauma può essere dovuta a:

pratica sportiva: contatto fisico (durante l’esecuzione di sport come calcio, rugby e pallacanestro), cadute (durante la pratica di sport come pallavolo, sci, ginnastica). Le lussazioni alle dita sono molto frequenti soprattutto in sport come pallavolo e pallacanestro.

incidenti: cadute in bicicletta e moto o incidenti automobilistici possono provocare questo tipo di infortunio

Le lussazioni congenite generalmente sono causate da malformazioni dei capi articolari che si manifestano nei bambini alla nascita o in epoca neonatale (la più conosciuta è la lussazione congenita dell’anca).

Le lussazioni patologiche comprendono invece tutte le forme di alterazioni dei rapporti articolari causate da altre patologie.

 

Quali sono i sintomi della lussazione?

Un’articolazione lussata generalmente è caratterizzata dalla seguente sintomatologia:

-è visibilmente deformata

-appare gonfia e calda

-provoca dolore intenso

 

Come prevenire la lussazione?

Alcuni consigli per prevenire una lussazione sono:

-fare sport in modo sicuro, indossando il giusto equipaggiamento protettivo soprattutto nel caso degli sport da contatto

-evitare il ripetersi della lussazione: una volta che l’articolazione si è lussata, può risultare maggiormente suscettibile a lussazioni future. È importante, per evitare il ripetersi dell’infortunio e potenziare l’articolazione, svolgere gli appositi esercizi di resistenza e stabilità consigliati dal fisiatra o dal fisioterapista.

Lussazione della spalla

Lussazione della spalla

La lussazione della spalla si verifica quando la testa dell’omero non si trova più a contatto con la cavità glenoidea (il punto in cui si articola con la scapola).

Che cos’è la lussazione della spalla?

La lussazione della spalla può essere anteriore (più comune) oppure posteriore. Si tratta di una situazione piuttosto dolorosa che limita in parte o del tutto i movimenti.

Quali sono le cause della lussazione della spalla?

La lussazione della spalla avviene in conseguenza di un evento traumatico o, molto più raramente, di una patologia degenerativa. In ogni caso, si tratta di una condizione che tende a ripresentarsi sempre più frequentemente, in quanto le strutture deputate alla stabilità della spalla (capsula e legamenti) tendono a rompersi e/o allungarsi progressivamente in seguito agli episodi di lussazione.

Quali sono i sintomi della lussazione alla spalla?

La lussazione della spalla è un infortunio piuttosto doloroso ed è facilmente riconoscibile dal fatto che la spalla è molto dolorante ed è impossibile per il paziente l’esecuzione di alcun movimento. Inoltre, la testa dell’omero si può riconoscere alla palpazione come “scivolata” sotto l’ascella (lussazione anteriore) o dietro di essa (lussazione posteriore).

La lussazione della spalla può comportare alcune complicazioni vascolari e a livello di nervi. Per questo motivo è bene, in caso di lussazione, farsi visitare tempestivamente da un medico, muovere l’articolazione il meno possibile e applicare ghiaccio per ridurre la componente infiammatoria presente.

Esistono dei fattori di rischio per la lussazione della spalla?

Alcuni tipi di attività sportiva sollecitano particolarmente l’articolazione fra scapola e omero o la espongono a una maggiore probabilità di eventi traumatici. Anche le cadute e gli incidenti stradali sono fra le cause più comuni di lussazione della spalla. Infine, alcune persone nascono naturalmente con tendini e strutture capsulo-legamentose meno rigide, che li predispongono alle lussazioni.

In che modo si può prevenire la lussazione della spalla?

L’unico modo per diminuire le possibilità di incorrere in una lussazione della spalla è fare attenzione alle cadute e cercare di indossare adeguate protezioni se si praticano sport di contatto o attività lavorative che comportano questo rischio.

Diagnosi Lussazione della spalla

Una lussazione della spalla è normalmente facile da riscontrare attraverso l’esame fisico del paziente. Talvolta, il medico prescrive una radiografia o una risonanza magnetica di controllo per escludere la presenza contemporanea di fratture o lacerazioni tendinee.

Trattamenti per Lussazione della spalla

La riduzione della lussazione è una procedura standard nella quale il medico cerca di riportare la testa dell’omero nella sua posizione normale, a contatto con la cavità glenoidea. Questa procedura può essere effettuata in anestesia ed è meglio ridurre la lussazione il prima possibile per ridurre i danni che il dislocamento comporta a strutture vascolari e nervose.

A seconda dell’intensità del dolore (che di norma migliora dopo la riduzione) il medico prescrive una terapia conservativa con farmaci antidolorifici per rilassare i muscoli e l’immobilizzazione dell’articolazione, per permettere un’eventuale guarigione delle strutture lesionate.

Dopo un periodo di immobilizzazione con un tutore si procede con un percorso di riabilitazione per ottenere un recupero articolare completo e un successivo rinforzo delle strutture muscolari che coadiuvano la stabilità della spalla.

Nel caso di persistenza dell’instabilità articolare con episodi sempre più frequenti di lussazione va presa in considerazione la possibilità di sottoporsi a un intervento chirurgico per “stabilizzare” l’articolazione.

L’intervento può essere eseguito in artroscopia se il danno è limitato alle “parti molli”: capsula e legamenti o a “cielo aperto” se al danno capsulo-legamentoso fosse associato un deficit osseo o omerale o scapolare.

In entrambi i casi al gesto chirurgico va seguito un lungo periodo riabilitativo composto di:

Prima fase: immobilizzazione del braccio per circa 4 settimane, per permettere al tessuto muscolare di ripararsi.

Seconda fase: fisioterapia assistita, per recuperare il movimento dell’articolazione (circa 4-8 settimane).

Terza fase: rinforzo della muscolatura attraverso l’esercizio fisico assistito e no (circa 8 settimane).

 

Visita ortopedica al piede

Visita ortopedica al piede

 

La visita ortopedica del piede è una visita specialistica condotta da un medico ortopedico per verificare la presenza di eventuali problematiche a carico di questa parte dello scheletro.

 

 

A cosa serve la visita ortopedica del piede?

 

La visita ortopedica del piede permette di diagnosticare problematiche come il piede piatto, la fascite plantare, la spina calcaneare, l’alluce valgo e l’alluce rigido, la distorsione dell’articolazione dell’alluce, il neuroma di Morton e deformità delle dita.

Grazie alla visita specialistica è possibile avere una diagnosi certa del problema e identificare la terapia più adatta per recuperare la funzionalità del piede. Per raggiungere questi obiettivi potrebbe essere necessario sottoporsi a indagini diagnostiche specifiche, ad esempio radiografie o Tac, che saranno eventualmente prescritte dal medico al termine della visita.

In altri casi la visita ortopedica potrebbe essere necessaria per monitorare l’evoluzione di problematiche come il piede piatto.

 

 

Come si svolge la visita ortopedica del piede?

 

Durante la visita ortopedica del piede il medico raccoglierà informazioni sul paziente, sul suo stile di vita, sulla sua storia clinica e sui sintomi che lo disturbano. In seguito condurrà un esame obiettivo del piede, osservandolo direttamente o utilizzando strumenti che permettono, ad esempio, di visualizzare la volta del piede.

 

 

Sono previste norme di preparazione?

 

La visita ortopedica del piede non prevede una preparazione specifica. Il paziente è invitato a portare con sé eventuali referti di analisi, ad esempio radiografie, condotte in passato e che potrebbero essere utili alla valutazione della situazione.

Menisco lacerato

Menisco lacerato

 

Il menisco è  un cuscinetto fibrocartilagineo presente tra le due principali ossa dell’arto inferiore, la tibia e il femore. Quando si lacera si genera una lesione nota anche come “rottura del menisco”.

Che cos’è il menisco lacerato?

Il menisco contribuisce a una migliore distribuzione del peso corporeo sul ginocchio, riducendo lo stress sullo strato di cartilagine che ricopre la superficie articolare. Quando si lacera non è più possibile svolgere correttamente queste funzioni.

 

Quali sono le cause del menisco lacerato?

Il menisco può lacerarsi per diversi motivi:

-a causa di un trauma: è la causa più frequente, soprattutto tra gli sportivi. Il menisco si può lacerare improvvisamente quando, ad esempio, ci si ferma bruscamente mentre si corre e si cambia improvvisamente direzione

-a causa dell’usura dell’articolazione dovuta al passare del tempo (a partire dai 40 anni di vita, di solito)

-a causa di altre condizioni mediche come l’artrite degenerativa (patologia degenerativa delle articolazioni)

 

Quali sono i sintomi del menisco lacerato?

La lacerazione del menisco dovuta alla normale usura articolare generalmente non provoca dolore. Se la lacerazione, invece, avviene improvvisamente, è accompagnata da una sintomatologia che può comprendere:

-dolore, spesso intenso, soprattutto quando il ginocchio è in torsione o in rotazione

-gonfiore o rigidità a carico del ginocchio

-difficoltà a stendere il ginocchio (parte del menisco lacerato può inserirsi all’interno dell’articolazione, impedendo al ginocchio di stendersi)

-presenza di raccolta di liquido all’interno del ginocchio

 

Come prevenire la lesione del menisco?

Contro la lacerazione del menisco dovuta al passare degli anni o all’artrite degenerativa non si può fare, purtroppo, nulla.

Diversi, invece, sono gli accorgimenti che possono essere messi in pratica per evitare la lacerazione traumatica di questa struttura fibrocartilaginea:

-evitare tutti i traumi che possono causarne l’insorgenza (attenzione anche a dove si mettono i piedi quando si scende dalla macchina o dall’autobus)

-effettuare appositi esercizi per rafforzare i muscoli delle gambe per contribuire a stabilizzare e proteggere le articolazioni del ginocchio

In caso di svolgimento di attività sportiva:

-effettuare sempre un appropriato riscaldamento prima di aumentare l’intensità dello sforzo fisico

-assicurarsi sempre di indossare il giusto equipaggiamento (la corretta tipologia di vestiario, di calzature ed eventuali protezioni necessarie)

-evitare movimenti bruschi

Osteoporosi

Osteoporosi

 

L’osteoporosi è una malattia che colpisce le ossa, provocandone una maggiore fragilità e quindi un aumentato rischio di fratture. Tali lesioni possono avvenire in seguito a traumi lievi (ossia che non provocherebbero fratture in un osso sano) o anche in assenza di traumi evidenti (fratture da fragilità).

Si possono distinguere due forme principali di osteoporosi: una “primaria” (95% dei casi) che colpisce le donne in menopausa o gli anziani, e una “secondaria” (5% dei casi) che colpisce persone affette da altre malattie o che assumono farmaci che modificano negativamente il metabolismo osseo.

Il rischio di osteoporosi primaria aumenta con l’età, infatti è considerata una malattia comune che interessa il 30% delle donne sopra i cinquant’anni. L’osteoporosi è la causa principale di fratture nelle donne dopo la menopausa e negli anziani. Le ossa più frequentemente interessate da frattura sono il femore, le vertebre e l’articolazione del polso. Nel caso invece dell’osteoporosi secondaria vengono colpite persone di ogni età, anche bambini e adolescenti.

 

Quali sono le cause dell’osteoporosi?

L’osso è un tessuto formato principalmente da due tipi di cellule: gli “osteoblasti” che depositano materiale osseo e gli “osteoclasti” che invece lo degradano. L’osteoporosi si sviluppa quando le due popolazioni cellulari non sono più in equilibrio e quindi non viene prodotto abbastanza osso nuovo per sostituire quello già presente o quando ne viene riassorbito troppo oppure se si verificano entrambe le condizioni.

Nella menopausa aumenta il rischio di sviluppare osteoporosi perché diminuisce la produzione degli estrogeni, i principali ormoni femminili che giocano un ruolo importante nel rimodellamento osseo.

Altre cause di riduzione della massa ossea sono per esempio l’inattività (es. essere forzati a letto per lunghi periodi), alcuni farmaci (come i corticosteroidi e gli inibitori dell’aromatasi utilizzati per il tumore al seno), malattie renali e anoressia.

Inoltre una dieta povera di calcio e vitamina D è un fattore di rischio per osteoporosi perché il calcio è un minerale fondamentale per la formazione dell’osso e viene assorbito con più efficacia se i livelli di Vitamina D sono adeguati.

 

Quali sono i sintomi dell’osteoporosi?

L’osteoporosi è una malattia silente e l’esordio dei sintomi coincide con la comparsa di una frattura da fragilità. In caso di frattura vertebrale generalmente si avverte improvvisa comparsa di intenso dolore alla schiena. Con il susseguirsi delle fratture vertebrali si può andare incontro a diminuzione dell’altezza e deformazioni della colonna, che possono anche determinare difficoltà respiratorie e digestive.

 

Diagnosi

La diagnosi di osteoporosi si basa in primo luogo sull’esecuzione della densitometria ossea (DEXA o MOC), un esame che permette di calcolare la densità minerale ossea. Le aree generalmente valutate sono la colonna lombare e il femore. I dati ricavati vengono poi confrontati con quelli attesi, per poi esprimere un valore numerico chiamato “Tscore”. Se questo valore si discosta oltre un certo grado dal valore di normalità della popolazione sana (<-2.5), si può sospettare una diagnosi di osteoporosi.

La diagnosi e la connotazione del tipo e della severità dell’osteoporosi andranno confermate mediante ulteriori indagini:

-cliniche: attenta valutazione del paziente mediante raccolta di informazioni relative alla storia medica e attraverso visita medica;

-esami di laboratorio: alcuni esami del sangue e delle urine (calcio, fosforo, calciuria nelle 24 ore, fosfaturia nelle 24 ore, fosfatasi alcalina ossea, paratormone, osteocalcina, 25-OH vitamina D) permettono di valutare lo stato di salute del metabolismo dell’osso e di escludere cause secondarie di osteoporosi ed altre patologie osteopenizzanti;

-strumentali: la radiografia o la risonanza magnetica della colonna vertebrale possono essere utili per diagnosticare e datare le fratture vertebrali ossia per valutare se si tratta di lesioni recenti oppure pregresse.

 

Trattamenti

La terapia dell’osteoporosi si basa su:

-corretto stile di vita: attività fisica regolare, evitare fumo e abuso di bevande alcoliche.

-integrazione di calcio: il calcio è presente soprattutto in latte e derivati, ma l’apporto quotidiano varia con l’età e può essere necessario integrarne l’assunzione con supplementi.

-integrazione di vitamina D: la vitamina D viene prodotta nella cute con l’esposizione al sole e quindi la produzione aumenta nei mesi estivi, ma questo può non bastare e richiedere la supplementazione in caso di livelli inadeguati.

-farmaci contro il riassorbimento osseo: sono rappresentati in primo luogo dai “bisfosfonati” che agiscono inibendo gli osteoclasti per impedire la degradazione ossea. I bisfosfonati con indicazione per il trattamento dell’osteoporosi includono l’alendronato, il risedronato, l’ibandronato, lo zoledronato e il clodronato. Tali farmaci possono essere somministrati attraverso varie vie (orale, intramuscolare, endovenosa) con cadenza settimanale, mensile oppure anche annuale (nel caso dello zoledronato).

Altri farmaci più recentemente sviluppati e utilizzati nelle forme più severe di osteoporosi sono:

-teriparatide: è un analogo del paratormone, che agisce favorendo la deposizione di materiale osseo;

-denosumab: è un anticorpo monoclonale diretto contro una molecola che si chiama RANKL, che agisce bloccando l’attivazione degli osteoclasti.

In casi selezionati si possono inoltre utilizzare il raloxifene (modulatore selettivo dei recettori per gli estrogeni) o il ranelato di stronzio.

In caso di frattura da fragilità a livello vertebrale è necessaria in primo luogo una terapia anti-dolorifica e l’utilizzo di un bustino ortopedico, ma in caso di ritardato consolidamento della frattura o di dolore incoercibile può essere indicata una valutazione neurochirurgica per eventuale intervento di vertebroplastica o cifoplastica.

Humanitas ritiene che lo studio e la conoscenza dell’osteoporosi sia fondamentale e a questo proposito ha creato percorsi dedicati alla malattia e studi di ricerca in laboratorio per approfondirne i meccanismi.

L’ unità operativa di Reumatologia di Humanitas è centro prescrittore di tutti i farmaci utilizzati nell’osteoporosi. Sono già istituiti ambulatori dedicati alle malattie osteometaboliche e uno, in collaborazione con l’Oncologia, per seguire da questo punto di vista  le donne con tumore al seno a rischio di osteoporosi.

Humanitas è anche molto attenta alla ricerca. L’UO di Reumatologia, infatti, partecipa attivamente a studi clinici sui nuovi farmaci per il trattamento dell’osteoporosi.

 

Prevenzione

Si pensa, erroneamente, che  l’osteoporosi sia un naturale processo di invecchiamento e che pertanto non sia possibile prevenirla.

Nella realtà, invece, una forma di prevenzione è possibile: nelle persone che già presentano una riduzione della densità ossea è possibile rallentarne la progressione e ridurre conseguentemente il rischio di fratture.

 

 

Piede cavo

Piede cavo

 

Il piede cavo è una malformazione congenita o acquisita che consiste in una eccessiva accentuazione dell’altezza dell’arcata plantare. Nello specifico il piede poggia a terra sono sulla dita e sul calcagno. Questo può condurre a deformità del piede o a una scorretta configurazione ossea.

Un segno tipico sono le griffe digitali, vale a dire dita eccessivamente flesse. È più frequente nel sesso femminile, soprattutto in quelle forme acquisite legate all’uso di calzature che a lungo andare modificano la forma del piede.

 

Che cos’è il piede cavo?

Il piede cavo è una patologia più frequente nelle donne e più diffusa del piede piatto.  Viene classificato in diversi modi, a seconda della causa, del tipo di deformità del piede e dal grado accentuazione dell’arco plantare.

 

Quali sono le cause del piede cavo?

La causa del piede cavo congenito è la familiarità, vale a dire una predisposizione genetica che accomuna altri familiari e che può essere legata a uno sviluppo imperfetto (displasia) dell’articolazione.

Il piede cavo acquisito e cosiddetto essenziale è provocato da cause non patologiche come calzature troppo corte o tacchi troppo alti che possono piegare a uncino le dita e incavare in modo esagerato l’arco plantare. Anche alcune attività sportive possono comportare l’accentuazione eccessiva dell’arco plantare.

Il piede cavo neurologico è legato a patologie neurologiche (paralisi poliomielitica, paralisi spastica, nella malattia di Friedreich, malattia di Charcot-Tooth) che provocano la paralisi del muscolo.

Il piede cavo secondario deriva da processi patologici, come l’artrite reumatoide, esiti chirurgici o altri danni ai muscoli e ai tessuti del piede.

 

Quali sono i sintomi del piede cavo?

Il segno del piede cavo è un arco plantare accentuato che condiziona la deambulazione della persona. Altri sintomi sono l’ arrossamento e ispessimento della cute nella parte esterna del piede, che diventa dura e callosa. La persona sperimenta difficoltà a camminare. Tale condizione  nel caso dello sviluppo e dell’accrescimento del bambino, va costantemente monitorata perché può comportare una tendenza a: ginocchio valgo, rigidità delle anche, accentuazione della curva lombare e mal di schiena frequenti.

 

Come prevenire il piede cavo?

La prevenzione delle forme acquisite del piede cavo si ottiene facendo attenzione, soprattutto nel caso delle donne, a scegliere calzature appropriate ( non troppo corte o con tacchi troppo alti) per evitare che a lungo andare possano modificare la forma dell’arcata plantare.

Piede piatto

Piede piatto

 

In una situazione fisiologica la pianta del piede non tocca il terreno quando si è in posizione eretta. In caso di appiattimento della volta plantare si parla di piede piatto.

Dai 10 mesi di vita fino ai 3-4 anni di età questa situazione è del tutto fisiologica e rientra nella normale crescita del piede (piede piatto fisiologico), ed è portata a correggersi spontaneamente entro i 6-7 anni di età. Anche quando la presenza dei piedi piatti permane senza regredire autonomamente la condizione è, la maggior parte delle volte, indolore. I piedi piatti possono contribuire all’insorgenza di problemi a caviglie e ginocchia perché la presenza di questa condizione può alterare l’allineamento delle gambe.

 

Quali sono le cause del piede piatto?

La presenza del piede piatto nei bambini è del tutto normale e in alcune persone questa conformazione del piede tipica dell’infanzia non regredisce, permanendo anche in età adulta. Nonostante questa condizione non desti importanti problematiche, i bambini che ne sono affetti hanno maggiori possibilità di soffrire da adulti di patologie secondarie come l’artrosi della caviglia e l’alluce valgo. Per questo motivo il trattamento  è soprattutto preventivo. Alcuni fattori possono influire sulla possibilità di sviluppare il piede piatto anche in età adulta: obesità, lesioni traumatiche al piede o alla caviglia; artrite reumatoide; invecchiamento.

 

Quali sono i sintomi del piede piatto?

La maggior parte delle persone non ha alcun sintomo associato alla presenza del piede piatto. In alcuni casi, soprattutto nei soggetti con valgo-pronazione del calcagno, possono esservi dolore in particolare nella zona del tallone o della volta plantare e gonfiore nella parte interna della caviglia.

 

Come prevenire il piede piatto?

Per prevenire la formazione del piede piatto in età adulta è bene evitare le condizioni che possano predisporre al suo sviluppo. Se nulla si può fare riguardo alcuni fattori di rischio – come l’artrite reumatoide e l’invecchiamento – è possibile invece attuare delle strategie preventive per evitare l’insorgenza di condizioni come il sovrappeso e l’obesità e le lesioni traumatiche al piede o alla caviglia che favoriscono la comparsa di questo disturbo.

 

Diagnosi

Per effettuare la diagnosi il medico, dopo aver osservato i piedi del paziente, chiederà di effettuare dei movimenti (come mettersi sulle punte dei piedi) per esaminare la meccanica dei piedi.

Nel caso il paziente lamenti dolore, il medico può consigliare al paziente di sottoporsi a:

-radiografia: per visualizzare le ossa e le articolazioni dei piedi.

-TAC: in grado di visualizzare le ossa e l’articolazione del piede da diverse angolazioni, fornendo maggiori dettagli rispetto a una normale radiografia.

-ecografia: questo esame, in grado di fornire immagini dei tessuti molli, può essere effettuato nel caso in cui il medico sospetti la presenza di una lesione tendinea.

-risonanza magnetica: in grado di fornire immagini dettagliate sia dei tessuti duri (come le ossa) sia dei tessuti molli (come tendini e vasi sanguigni).

 

Trattamenti

In presenza di un accentuato piattismo dei piedi, già a partire dai 3 o 4 anni di età è bene mettere in atto una serie di provvedimenti – del tutto non invasivi – mirati a favorire la maturazione della volta plantare. Tra questi:

-l’uso di un plantare

-il rinforzo muscolare mediante esercizi e sport adatti.

In entrambi i casi è bene farsi consigliare dal medico, evitando il “fai-da-te”.

 

Se entro gli 8-9 anni non si raggiunge un miglioramento della volta plantare possono essere consigliati, nei casi di piattismo più importanti, interventi chirurgici correttivi da eseguire tra i 9 e i 14 anni. Diverse sono le procedure chirurgiche utilizzate a questo scopo: le più diffuse sono l’endortesi e il calcagno-stop, entrambe mirate a correggere la pronazione del calcagno e a far risalire la volta plantare.

Rottura del tendine d’Achille

Rottura del tendine d’Achille

 

Il tendine d’Achille è responsabile di molti dei movimenti che avvengono a livello del piede e della gamba. Anatomicamente collega i muscoli del polpaccio al calcagno. Sebbene sia un tendine molto resistente, se sottoposto a eccessivo sforzo può lacerarsi e arrivare a rompersi. La rottura del tendine di Achille può essere parziale o totale.

 

Che cos’è la rottura del tendine d’Achille?

Questo tipo di infortunio, tanto più doloroso quanto maggiormente è estesa la rottura, si verifica più comunemente nei soggetti che praticano sport. L’approccio chirurgico è spesso la migliore opzione di trattamento per riparare una rottura del tendine d’Achille. Gli uomini corrono un rischio fino a 5 volte maggiore di incorrere in questo infortunio rispetto alle donne e la fascia di età più colpita è quella tra i 30 e i 40 anni.

 

Quali sono le cause della rottura del tendine d’Achille?

La rottura di questo tendine – che può essere parziale o totale – è più frequente entro i primi 5-6 centimetri dal punto dove il tendine si attacca al calcagno. Questo tipo di lesione viene quasi sempre provocata da un improvviso aumento della quantità di stress sul tendine di Achille. Ciò accade soprattutto a causa di traumi o infortuni (quando, ad esempio, si cade o si infila il piede in una buca). Spesso la rottura del tendine di Achille riguarda soggetti che praticano sport: aumentare eccessivamente l’intensità dell’attività sportiva è infatti una delle cause più frequenti che porta alla rottura di questo tendine. Le lesioni del tendine di Achille si verificano più spesso negli sport caratterizzati da corse, salti e scatti (come calcio, basket e tennis).

 

Quali sono i sintomi della rottura del tendine d’Achille?

Quando si verifica la rottura del tendine molte persone riferiscono di sentire un rumore di schiocco, simile a una frustata. Solitamente la sintomatologia che accompagna questo infortunio comprende:

-dolore, anche molto intenso, nella zona del tallone

-gonfiore intorno al tallone

-incapacità di piegare il piede infortunato verso il basso

-incapacità di alzarsi sulla punta del piede infortunato

 

Come prevenire la rottura del tendine d’Achille?

Per ridurre le probabilità di lacerazione del tendine d’Achille è consigliabile:

-effettuare esercizi volti ad allungare e rinforzare i muscoli del polpaccio e il tendine di Achille.

-variare il tipo di attività sportiva svolta, alternando sport ad alto impatto, come la corsa, con sport a basso impatto come camminare, andare in bicicletta o nuotare.

-evitare o limitare l’esecuzione di esercizi su superfici dure e scivolose.

-indossare calzature adeguate all’attività fisica che si sta svolgendo.

-aumentare l’intensità dello sforzo fisico gradualmente: molte delle lesioni al tendine di Achille si verificano proprio quando si aumenta bruscamente l’intensità (durata e/o frequenza) degli allenamenti.

 

Diagnosi

Per diagnosticare la rottura del tendine di Achille è spesso sufficiente sottoporsi a una visita ortopedica: il medico specialista sarà infatti in grado, attraverso opportune manovre, di effettuare la diagnosi.

Per rilevare l’entità del danno a carico del tendine, e stabilire se la rottura è totale o parziale, il medico può richiedere l’esecuzione di una risonanza magnetica.

 

Trattamenti

Il trattamento per la rottura del tendine d’Achille dipende dalla gravità della lesione, dall’età del soggetto colpito dall’infortunio e dal livello di attività fisica svolta abitualmente. In generale, nel caso di rottura completa, le persone più giovani e attive spesso optano per l’intervento chirurgico attraverso cui il tendine lacerato viene ricucito. In caso, invece, di rottura parziale, può essere utilizzato un gesso (o un tutore) comprensivo di sostegni per tenere il tallone sollevato (per mantenere, cioè, il piede in posizione equina) al fine di favorire la rimarginazione del tendine lacerato.

Dopo qualsiasi trattamento è necessario sottoporsi a un programma di fisioterapia per rinforzare i muscoli delle gambe e lo stesso tendine di Achille. Per tornare alla normale attività quotidiana e sportiva solitamente sono necessari 4-6 mesi.

 

Rottura della cuffia dei rotatori

Rottura della cuffia dei rotatori

 

La cuffia dei rotatori è il complesso dei quattro muscoli (con i rispettivi tendini) che concorre al movimento dell’articolazione della spalla nei vari piani dello spazio e che tiene stabile l’articolazione fra la scapola e l’omero (l’osso che appartiene alla parte superiore del braccio).

 

Che cos’è la rottura della cuffia dei rotatori?

La “lesione” della cuffia dei rotatori è la rottura parziale o completa di uno (o più) fra i tendini che la costituiscono.

È una condizione molto comune soprattutto nel paziente anziano. La rottura può essere sia parziale che completa e genera sia dolore che limitazioni funzionali.

 

Quali sono le cause della rottura della cuffia dei rotatori?

La rottura della cuffia dei rotatori può avvenire sia per un evento traumatico, come risultato di un movimento errato, di un eccessivo carico o di un impatto, sia per via degenerativa, più lentamente, a causa di continui stress dell’articolazione o come frutto della degenerazione indotta dall’invecchiamento.

Più frequentemente è un insieme di questi due elementi che portano alla rottura tendinea: a causa di fenomeni degenerativi inizia un fenomeno di “assottigliamento” del tendine che può poi evolvere sia spontaneamente che in seguito a traumi o sforzi anche banali in una rottura completa.

 

Quali sono i sintomi della rottura della cuffia dei rotatori?

La rottura della cuffia dei rotatori è solitamente caratterizzata da dolore nella parte anteriore della spalla, specialmente se la causa della rottura è di natura traumatica. Il paziente prova dolore specialmente quando compie movimenti come alzare il gomito sopra la spalla o appoggiarlo a una superficie come il bracciolo di una poltrona o la superficie di un tavolo o di una scrivania.

Quando la rottura deriva invece da una condizione cronica, il dolore si manifesta con intensità variabile nel tempo ed è spesso presente nelle ore notturne. È inoltre spesso accompagnato da una maggiore difficoltà nel compiere movimenti, che hanno un raggio più limitato, e dall’impossibilità di sollevare pesi anche modesti.

 

Quali sono i fattori di rischio per la rottura della cuffia dei rotatori?

Nei casi di rottura tendinea traumatica vanno considerati fattori di rischio tutte le attività sia sportive che lavorative che hanno una alta incidenza di traumatismi a carico della spalla (rugby, calcio, sci, motocross ecc).

Nel caso di lesioni degenerative esistono fattori di rischio legati all’età, a patologie metaboliche (come il diabete), ad abitudini di vita (come il fumo) per cui si genera una diminuzione della vascolarizzazione del tendine che quindi si indebolisce e che lo predispone alla rottura.

La rottura può tuttavia derivare anche dallo svolgimento di un lavoro che sollecita l’articolazione in modo continuo o da una predisposizione personale, dovuta alla naturale conformazione dell’articolazione.

 

Come si previene la rottura della cuffia dei rotatori?

Non è possibile prevenire la lacerazione della cuffia dei rotatori ma è facile diminuire le possibilità di una lacerazione traumatica o da degenerazione attraverso i seguenti accorgimenti:

-esercitare regolarmente la spalla per mantenere flessibilità e forza della muscolatura.

-fare attenzione agli sforzi che riguardano l’articolazione fra spalla e omero.

-riposo quando l’articolazione duole o è infiammata.

-non esitare a sottoporsi a un controllo specialistico in caso di persistenza della sintomatologia.

 

Diagnosi

La rottura della cuffia dei rotatori si diagnostica solitamente attraverso l’esame fisico, seguito per conferma da una risonanza magnetica.

La radiografia, invece, sebbene non evidenzi la rottura, può essere utilizzata per rendere visibili eventuali alterazioni a carico delle componenti scheletriche.

 

Trattamenti

Spesso l’opzione chirurgica non è la prima scelta per il trattamento della rottura della cuffia dei rotatori in quanto è possibile avere un beneficio della sintomatologia anche con trattamenti riabilitativi.

L’approccio chirurgico viene spesso considerato come prima opzione solo in casi di rottura totale in pazienti giovani, quando c’è il rischio che possa portare ad un’alterazione nella conformazione dell’articolazione stessa.

 

Terapia non chirurgica

L’approccio non chirurgico consiste in diversi fasi indirizzate alla riduzione della sintomatologia.

Può essere benefico un periodo di riposo eliminando fattori di stress per la spalla (sia sportivi che lavorativi) coadiuvati da una terapia farmacologica mirata a ridurre sia il dolore che l’infiammazione derivante dalla rottura tendinea.

A ciò si può aggiungere un programma riabilitativo basato su terapie fisiche e fisioterapia per ridurre la componente infiammatoria e cercare di ottenere un recupero funzionale.

A seconda dei risultati della terapia fisica e degli esiti dei controlli successivi, lo specialista può decidere se continuare con la terapia non chirurgica od optare per un intervento di tipo chirurgico.

 

Terapia chirurgica

Quando vi sia l’indicazione per un approccio di tipo chirurgico, per via dell’esito negativo delle terapie non chirurgiche (solitamente non valutabile prima di 8-12 settimane) o per altri fattori, lo specialista può decidere di operare.

L’approccio artroscopico è in questo caso quello più utilizzato: in regime di day surgery, in anestesia loco reginale e attraverso 3 piccoli “buchini” attraverso la pelle si procede alla visualizzazione diretta della lesione e alla sua riparazione.

La chirurgia si è dimostrata efficace nella terapia per la rottura della cuffia dei rotatori, sebbene possa accadere che la patologia si ripresenti con ricorrenza nell’arco della vita del medesimo individuo. In casi molto severi è possibile infine procedere alla sostituzione di una parte o dell’intera articolazione della spalla con una protesi.

Dopo la terapia chirurgica, qualsiasi sia l’approccio adottato, è necessaria una procedura di riabilitazione, divisa solitamente in tre fasi:

Prima fase: immobilizzazione del braccio per circa 4 settimane, per permettere al tessuto muscolare di ripararsi.

Seconda fase: fisioterapia assistita, per recuperare il movimento dell’articolazione (circa 4-8 settimane).

Terza fase: rinforzo della muscolatura attraverso l’esercizio fisico assistito e non (circa 8 settimane).

 

Slogatura

Slogatura

 

Questo infortunio è anche detto lussazione, tuttavia il termine “slogatura” risulta comunemente molto più utilizzato. Consiste in uno spostamento permanente dei campi articolari gli uni rispetto agli altri.

Che cos’è la slogatura?

La slogatura è una lesione articolare che può interessare tutte le articolazioni. Quelle più frequentemente interessate sono la spalla e le dita, seguite da gomito, ginocchia e fianchi.

 

Quali sono le cause della slogatura?

Le slogature sono in genere causate da traumi. In particolare si può incorrere in una slogatura nel caso di:

-incidenti:  se si cade dalla moto, dalla bicicletta o in caso di incidenti automobilistici, ma anche se si inciampa o si cade mentre si corre o si cammina

-pratica di attività sportiva. In questo caso le slogature sono piuttosto frequenti. Possono essere determinate da cadute di vario tipo (soprattutto sport come pallavolo, sci, ginnastica) o dal contatto fisico (soprattutto sport come calcio, rugby e pallacanestro)

 

Quali sono i sintomi della slogatura?

Una slogatura è generalmente accompagnata dalla seguente sintomatologia:

-si avverte dolore intenso nella zona dell’infortunio

-l’articolazione può risultare deformata

-l’articolazione appare gonfia e calda

 

Come prevenire la slogatura?

Per prevenire le slogature è bene:

-fare sport in modo sicuro, indossando il giusto equipaggiamento protettivo soprattutto nel caso degli sport da contatto

-evitare il ripetersi della slogatura: dopo essersi slogata, l’articolazione risulta generalmente maggiormente suscettibile a slogature future. Per evitare il ripetersi dell’infortunio e potenziare l’articolazione è bene svolgere gli esercizi consigliati dal fisiatra o dal fisioterapista

Tendinite

Tendinite

 

La tendinite consiste nell’infiammazione di un tendine ossia della struttura che collega le ossa ai muscoli e permette il movimento delle articolazioni.

 

Che cos’è la tendinite?

La tendinite può avere un’insorgenza acuta o progressiva. È caratterizzata da dolore e tumefazione locale e difficoltà alla mobilizzazione dell’articolazione coinvolta. Nel caso in cui vi sia un’alterazione della normale struttura collagenica del tendine, nelle forme croniche recidivanti o dopo assunzione di alcuni farmaci tenotossici (per esempio alcuni antibiotici o dopo ripetute infiltrazioni con corticosteroide) si può avere la rottura del tendine. In questo caso necessita di intervento chirurgico per essere risolto. Le tendiniti possono essere associate alla presenza di calcificazioni. Sebbene la tendinite possa colpire i tendini di qualsiasi articolazione, quelle più comunemente colpite sono:

-spalle (tendinite della cuffia dei rotatori, ecc).

-gomiti (epicondilite o gomito del tennista, ecc).

-mani/polsi (dito a scatto, ecc).

-anche (trocanteriti, ecc).

-ginocchia (tendinite del quadricipite o jumper knee, ecc).

-caviglie (tendinite d’Achille, fasciti plantari ecc).

 

Quali sono le cause della tendinite?

Le cause delle tendinite sono soprattutto di ordine meccanico. Nelle forme acute è frequente l’origine traumatica, soprattutto in ambito sportivo. Nelle forme croniche, invece, la causa è data più spesso da un movimento ripetuto e continuativo.

Esiste inoltre una maggiore predisposizione in soggetti affetti da patologie metaboliche, quali il diabete o le tireopatie. In tal caso l’alterato metabolismo dei tessuti sembra indurre una maggiore debolezza della loro struttura e una difficoltà ad attivare i normali processi di riparazione.

Analogamente, fattori quali il sovrappeso e l’obesità sono fattori predisponenti e, purtroppo, sfavorevoli per una risoluzione ottimale della patologia.

 

Quali sono i sintomi della tendinite?

La tendinite si presenta nella maggior parte dei casi come un dolore acuto che insorge rapidamente. Nell’arco di qualche giorno la fase iniziale di infiammazione spesso decorre senza sintomi particolarmente rilevanti. In altri casi il dolore viene sentito come un dolore “a freddo”, cioè nel momento in cui si inizia a usare una articolazione, per poi diminuire con il suo utilizzo. In quest’ultimo caso però spesso evolve in un dolore che, progressivamente, compare anche al movimento. A volte si può notare tumefazione del tendine infiammato (per esempio nel tendine di Achille) oppure delle formazioni cistiche (per esempio nelle tendiniti del polso). Occasionalmente si può associare calore al tatto e raramente arrossamento della cute sovrastante.

 

Quali sono i fattori di rischio per la tendinite?

Possono essere considerati fattori di rischio per la tendinite:

-lavori manuali ripetitivi o effettuati in posizioni scomode e innaturali, indipendentemente dai carichi (pesi) coinvolti.

-attività sportiva con carichi eccessivi o scorretti, assenza di tempi di recupero adeguati, tecnica sportiva errata, mancato periodo di riscaldamento o stretching a fine attività.

-età, sovrappeso e patologie metaboliche, in cui si assiste a una progressiva modificazione della struttura tendinea.

 

Come prevenire la tendinite?

Per ridurre la possibilità di incorrere in una tendinite si possono mettere in atto una serie di precauzioni:

  • Durante l’attività sportiva è fondamentale importante un corretto riscaldamento iniziale e la correttezza del gesto atletico. Una volta terminata l’attività è necessario fare dello stretching. Bisogna inoltre tener conto che vi sono dei tempi di recupero che variano molto in base all’età e alla presenza di patologie di base.
  • Durante l’attività lavorativa risulta invece utile fare attenzione alle cattive posture o al non mantenere la stessa posizione troppo a lungo.

Uno stile di vita sano, con controllo del peso e attività fisica leggera, è da considerarsi fondamentale.

 

Diagnosi

La tendinite si diagnostica attraverso l’esame clinico del paziente, associato a esami strumentali quali l’ecografia, che risulta l’esame da fare sempre in prima battuta. In casi particolari può essere consigliato il ricorso  alla risonanza magnetica nucleare.

 

Trattamenti

In prima battuta la tendinite si cura con riposo (eventuale scarico), ghiaccio locale e analgesici. L’utilizzo dei FANS (Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei) è attualmente argomento di discussione. Se tale approccio non fosse sufficiente si può procedere con terapie fisiche locali come laser e ultrasuoni, oppure terapie più innovative quali le onde d’urto focali che uniscono all’effetto antiinfiammatorio quello rigenerativo dei tessuti. Spesso risulta fondamentale il trattamento fisiokinesiterapico a complemento delle terapie citate. Le infiltrazioni con cortisonico sono indicate solo in casi di dolore estremamente intenso con impossibilità ad utilizzare l’articolazione coinvolta, tenendo sempre conto del potenziale effetto negativo che i corticosteroidi hanno sul tendine.

Nelle lesioni tendinee il trattamento è esclusivamente chirurgico.

Tendinite del piede

Tendinite del piede

 

La tendinite è una delle cause più comuni di dolore al piede e alla caviglia. Nello specifico si tratta di  un’infiammazione che colpisce il tendine, una struttura forte e resistente fatta di tessuto fibroso e simile a una corda. Serve ad ancorare saldamente il muscolo all’osso e permette il movimento dell’articolazione.

 

Che cos’è la tendinite del piede?

Le tendiniti del piede sono infiammazioni molto comuni, in aumento negli ultimi anni soprattutto per una maggiore frequenza della pratica sportiva fin dalla giovane età e per l’uso di calzature spesso inappropriate suggerite dalla moda.

I tipi più comuni di tendiniti sono:

-tendinopatia achillea: il tendine calcaneare o tendine d’Achille è il tendine che collega i muscoli del polpaccio alla parte posteriore del tallone. È il tendine più largo e forte del corpo. L’infiammazione è un evento frequente durante la corsa e non a caso si parla di tendinite del podista

-tendinite del tibiale posteriore: si tratta di una tendinite solitamente associata con il piede piatto. Il tendine del muscolo tibiale posteriore si inserisce tra la parte interna della caviglia e il collo del piede

-tendinite dei tendini dei flessori: si manifesta con dolore nella parte posteriore della caviglia sul lato dell’alluce. Questa tendinite è tipica dei ballerini per via della posizione in equilibrio sulle punte richiesta dall’attività

-tendinite dei tendini estensori delle dita: colpisce la parte superiore del piede ed è solitamente causata dallo sfregamento del piede contro la scarpa o da condizioni infiammatorie come l’artrite reumatoide

 

Quali sono le cause della tendinite al piede?

Le cause della tendinite ai piedi possono possono essere diverse:

-infortuni

-traumi

-usura

-movimenti ripetitivi durante lo sport

-calzature inappropriate

-sfregamento contro speroni ossei

-malattie metaboliche

La causa più frequente delle tendinite è un sovraccarico funzionale del tendine sottoposto a un’attività eccessiva come avviene nella corsa o in altre attività sportive.

Altre cause sono:

-Infortunio al piede o alla caviglia a causa di  un movimento brusco come saltare o atterrare sul suolo da un punto alto

-una struttura del piede anomala. Problematiche come i piedi piatti o il piede cavo possono creare squilibri muscolari che influenzano la stabilità di uno o più tendini

-patologie sistemiche come l’artrite reumatoide, la gotta o le spondiloartropatie

 

Quali sono i sintomi della tendinite al piede?

I sintomi di una tendinite includono dolore e talvolta gonfiore nell’area soggetta a infiammazione. I sintomi possono manifestarsi a riposo e più di frequente durante il movimento. Altri sintomi sono la debolezza e il dolore quando si appoggia o si ruota il piede e quando si cammina.

 

Come prevenire la tendinite del piede?

La prevenzione delle tendiniti si ottiene limitando sforzi ripetitivi e usuranti, ricordandosi di effettuare esercizi di stretching dolce prima dell’attività sportiva, scegliendo con cura calzature adatte e sottoponendosi a controlli ortopedici per identificare eventuali anomalie del piede.