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Binge eating: come capire se ne soffri?

A molti sarà capitato di “abbuffarsi” in particolari occasioni. Secondo gli esperti, il binge eating è molto più di un’abbuffata sporadica. 

Approfondiamo l’argomento con la dottoressa Rita Curti, psicologa e psicoterapeuta del Centro di chirurgia bariatrica di Humanitas San Pio X e con la dottoressa Maria Bravo, biologa nutrizionista in Humanitas San Pio X.

Cosa significa binge eating? 

Con il termine binge eating ci si riferisce alla perdita di controllo su quanto e su cosa si sta mangiando e, come per il binge drinking, l’abbuffata incontrollata avviene in un tempo relativamente breve. Alcuni descrivono questo tipo di abbuffata come “una crisi” a cui seguono sensi di colpa, disgusto e disagio; le abbuffate avvengono di nascosto e spesso senza la sensazione di fame. Quando “le crisi” capitano una volta a settimana per tre mesi consecutivi, si può parlare di un disturbo dell’alimentazione che, anche in Italia, prende il nome anglosassone di binge eating disorder (BED). Attenzione però a non confondere il disturbo da alimentazione incontrollata con la bulimia nervosa. Nella bulimia nervosa, infatti, subito dopo l’abbuffata, la persona mette in atto azioni compensatorie, come induzione del vomito, digiuno, eccessiva attività fisica, uso di lassativi, per controllare il peso; in chi soffre di binge eating, invece, questo non accade.

Come riconoscere il binge eating?

Sensazione di perdere il controllo su ciò che si sta mangiando, mangiare anche in assenza di fame, mangiare di tutto, dolce e salato, senza limite né di quantità né di tipo di cibo, in un lasso di tempo molto ristretto, senso di colpa che sale dopo la crisi compulsiva (non durante), mangiare fino a sentirsi spiacevolmente pieni, aumento del peso corporeo sono tutti segnali di un disturbo da alimentazione incontrollata. È un disturbo che può insorgere a qualsiasi età, ne soffrono più le donne degli uomini, sebbene sia un disturbo del comportamento alimentare meno asimmetrico per quanto riguarda il genere.  Dal punto di vista psicologico, spesso il binge eating è associato a una bassa autostima e a una deflessione del tono dell’umore, che possono tradursi anche in un’immagine negativa del sé e del proprio corpo. La sofferenza psicologica provocata dal binge eating, spesso coincidente con un senso di inadeguatezza e di impotenza, può avere un impatto negativo sulla qualità della vita di chi ne soffre, oltre a contribuire ad aumentare il rischio di obesità e patologie correlate. Infatti, si stima che il numero di persone che soffrono di disturbo alimentare incontrollato aumenti con l’aumentare della gravità dell’obesità (circa il 30% della popolazione affetta da obesità che richiede aiuto presenta binge eating disorder).

Tuttavia, i confini dei disturbi alimentari possono essere non ben definiti, specie nelle persone obese, che spesso presentano nella propria storia uno scivolamento tra un disturbo alimentare e l’altro.

Cosa fare e a chi rivolgersi in caso di binge eating?

Come per ogni disturbo, è necessaria una diagnosi corretta per identificare adeguatamente il tipo di problema. L’approccio è di tipo multidisciplinare, con l’obiettivo di fornire al paziente il supporto psicologico, emotivo, nutrizionale e comportamentale per affrontare il problema. Alcuni pazienti tentano di curare il proprio BED mettendosi a dieta rigida ma ciò innesca un circolo vizioso controproducente

È raccomandabile quindi rivolgersi a un centro specializzato nella cura dell’obesità in cui poter parlare del proprio problema con uno psicologo esperto in disturbi alimentari e con un nutrizionista

Obiettivo della valutazione psicologica è far comprendere al paziente che il disturbo è prima di tutto di origine psicologica (può derivare da disturbi dell’attaccamento, da traumi e da numerosi variabili individuali e ambientali). Ciò significa che il disturbo non potrà essere curato solo seguendo una dieta, ma accostando ad essa la comprensione e l’elaborazione di tutti i fattori psicologici connessi (siano essi causa e/o conseguenza del disturbo stesso).

Fondamentale è verificare ed incentivare la motivazione del paziente ad essere partecipante attivo del percorso di cura, che prevede – dal punto di vista psicologico – l’acquisizione graduale di strategie adeguate per la regolazione emotiva. Il nucleo fondamentale di chi soffre di BED è infatti una regolazione disfunzionale delle emozioni. Imparare a riconoscerle, a dar loro un nome e ad utilizzare strategie diverse dall’abbuffata per gestirle è alla base del percorso di cura e guarigione.

In merito all’alimentazione è importante una rieducazione alimentare: capire quali sono le difficoltà del paziente nella gestione della propria routine alimentare e fornire i giusti strumenti per ricreare delle buone abitudini. È molto importante anche ritrovare il giusto “timing” dei pasti e cercare di promuovere un’alimentazione che preveda 3 pasti principali (colazione, pranzo e cena) e due spuntini per regolarizzare il senso di fame e sazietà.

Potrebbe essere utile, in un primo step della rieducazione alimentare, escludere quegli alimenti che spesso vengono utilizzati dal paziente come “comfort food”, per evitare eccessivi episodi di abbuffate incontrollate, per poi reintrodurli gradualmente, una volta raggiunto un equilibrio nei confronti dell’alimentazione. Inoltre, un’ottima strategia è quella di fornire al paziente un diario alimentare da compilare durante la settimana, volto a comprendere non soltanto la qualità e la qualità degli alimenti assunti durante la giornata, ma anche il luogo in cui si consumano i pasti e le emozioni correlate al momento del consumo del pasto; in questo modo, si riesce ad avere un quadro più completo di quelli che possono essere i fattori trigger per un’abbuffata. Una volta comprese le difficoltà si può iniziare a lavorare sulla gestione dei momenti critici, al fine di ricreare delle nuove e buone abitudini alimentari.  

Scienze dell'Alimentazione e Nutrizione Umana

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