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Disturbi della defecazione: cosa fare?

Quando si parla di evacuazione irregolare, si pensa subito alla stipsi. In realtà, stipsi e incontinenza fecale sono solo alcune delle condizioni che contribuiscono a creare disturbi della defecazione. In genere non sono disturbi associati a malattie gravi, ma è bene non trascurarne la presenza e rivolgersi al medico per effettuare gli esami specifici e valutare la terapia adeguata.

Approfondiamo l’argomento con il dottor Ettore Lillo, proctologo di Humanitas San Pio X.

Incontinenza anale, stipsi e gli altri disturbi dela defecazione

Incontinenza anale, stipsi, emorroidi, ragadi anali hanno in comune un’alterata capacità di contrazione e pressione della muscolatura dell’area vicino all’ano (perianale) e dell’ano (sfintere anale). Si tratta di strutture muscolari e nervose particolarmente importanti per svolgere due funzioni fondamentali: l’espulsione del bolo fecale (defecazione) e la capacità di trattenere le feci al di fuori della defecazione. In presenza di incapacità di contenere le feci (incontinenza fecale) o di stipsi, è importante valutare la forza (pressione) sviluppata dalla muscolatura perianale insieme al complesso sfinteriale interno ed esterno, e il rilassamento sfinterico (riflesso retto-anale inibitorio) durante il ponzamento, ovvero l’atto di espellere le feci. 

Per capire l’importanza di questi parametri, basti pensare alla pressione sanguigna: se troppo alta o troppo bassa, la circolazione del sangue risulta alterata e possono manifestarsi danni anche gravi in vari tessuti e organi. Misurare e intervenire in caso di alterazioni della pressione arteriosa significa contenere eventuali danni a livello organico e ridurre i rischi di patologie cardiovascolari. Lo stesso per la pressione sfinterica al di fuori della norma: la misurazione, in caso di disturbi della defecazione, ad esempio, può contribuire a valutare la causa di emorroidi, dell’incapacità di trattenere le feci, di ragadi e, quindi, prevenire danni organici e altre patologie associate a questi disturbi.

Manometria: a cosa serve e come si effettua?

L’esame che serve a valutare i parametri motori associati alla muscolatura e sensoriali associati alle terminazioni nervose necessarie per la defecazione è la manometria anale. In genere, la manometria anorettale si effettua con il paziente in posizione fetale, e si svolge in due fasi: prima, l’esame digitale come in una normale visita proctologica; poi, l’inserimento per alcuni centimetri attraverso l’ano, di un catetere monouso morbido dotato di un palloncino in punta. Il catetere viene fissato al perineo del paziente con un cerotto, dal catetere fuoriescono alcune gocce di acqua che servono per trasferire le pressioni dalla punta del catetere allo strumento che le analizza. Vengono misurate le pressioni del canale anale a riposo, sotto contrazione volontaria, durante la spinta evacuativa, in seguito a colpi di tosse e in fase di riempimento del retto tramite gonfiamento del palloncino. Completa l’esame l’ulteriore gonfiamento del palloncino per valutare la sensibilità del retto alla distensione.

L’esame dura circa 10 minuti e, circa un paio d’ore prima, il paziente deve effettuare un clistere (clisma evacuativo) di 200 cc. L’esame è minimamente invasivo, il catetere è molto sottile, come una cannuccia per bere le bibite. Non è per nulla doloroso ma potrebbe risultare un po’ fastidioso solo durante la fase in cui si gonfia il palloncino. In sintesi, la manometria ano-rettale è di fondamentale importanza per lo studio delle patologie funzionali del tratto ano-rettale, anche in previsione di interventi sul canale anale, e per la gestione della salute del paziente, soprattutto nella valutazione delle migliori scelte terapeutiche da intraprendere.

Chirurgia Generale
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