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Diverticolite: quali sono i trattamenti?

I diverticoli sono piccole dilatazioni che si formano nella parete mucosa dell’intestino. La presenza di diverticoli non è sintomatica, fino a quando i diverticoli non si infiammano. In questo caso si parla di diverticolite, una condizione che può causare forte dolore addominale, febbre, nausea e alterazioni delle abitudini intestinali con stipsi alternata a diarrea. Il trattamento dipende da diversi fattori, tra cui la presenza di episodi di infiammazione ricorrenti.

Ne parliamo con il professor Jacques Lucien Megevand, responsabile di Chirurgia Generale e del Centro del Pavimento Pelvico di Humanitas San Pio X. 

La diverticolosi, cioè la presenza di diverticoli, è piuttosto frequente negli anziani e nelle donne, e raramente causa problemi. Con l’età, infatti, le pareti del colon diventano meno elastiche e la pressione delle feci al suo interno può determinare la dilatazione della parete (mucosa) verso l’esterno (estroflessione). La diverticolite, invece, si sviluppa quando frammenti di materiale fecale ristagnano nei diverticoli, favorendo la proliferazione dei batteri che diffondendosi, infiammano le pareti del diverticolo. 

La diverticolite si può curare con i farmaci?

Sulla base della gravità dei sintomi e delle recidive, diversi sono i tipi di trattamento per la diverticolite. La diverticolite lieve può essere curata a casa con la somministrazione di antibiotici per ridurre l’infezione, spesso associata a una dieta liquida o semisolida e povera di fibre per un breve periodo, in modo da “far riposare” l’intestino. Nel caso di una diverticolite grave, specie se si sospettano complicazioni, può essere necessario ricorrere alle cure ospedaliere.

In cosa consiste il trattamento chirurgico della diverticolite? 

La scelta del trattamento chirurgico dipende sia dal numero degli episodi di diverticolite, definite recidive, sia dalla presenza di complicanze gravi come la perforazione dell’intestino, l’occlusione intestinale, la formazione di un ascesso o di una fistola.

L’intervento chirurgico prevede la rimozione della parte del colon con i diverticoli (emicolectomia o sigmoidectomia) e il ricongiungimento dei segmenti di colon mediante sutura interna. Sebbene la chirurgia aperta, cioè con un incisione della parete addominale, sia praticata ed efficace soprattutto in caso di urgenza, si preferisce la tecnica laparoscopica o robotica, in tutti i casi in cui è indicata, perché permette un recupero più rapido del paziente dopo l’intervento.

La resezione colica laparoscopica è un intervento mini invasivo che prevede alcune piccole incisioni nell’addome per l’inserimento degli strumenti per l’asportazione della porzione di colon e di una telecamera per guidare il chirurgo. In genere, in pazienti che non presentano grave infiammazione, perforazione intestinale o ascesso, le due estremità del colon resecato vengono ricongiunte immediatamente durante l’intervento. In alcuni casi, però, il chirurgo potrebbe scegliere di mettere a completo riposo l’intestino dal passaggio delle feci, praticando una stomia temporanea, ovvero deviando le feci verso l’esterno attraverso un foro (stoma) sulla parete dell’addome (colostomia) a cui abboccare il tratto di intestino crasso a monte dei diverticoli. Le feci vengono raccolte in un sacchettino, ed in questo modo l’intestino ha il tempo di risolvere l’infiammazione e guarire. In genere, dopo circa 10-12 settimane dall’intervento, previa valutazione del chirurgo, il paziente può essere sottoposto a un nuovo intervento di ricanalizzazione dell’intestino, durante il quale si ricongiungono le estremità del colon separate e si chiude la colostomia.

Dopo l’intervento, il recupero delle funzioni intestinali viene monitorato durante il ricovero in ospedale, e solo una volta verificata la presenza della peristalsi, ovvero il movimento intestinale necessario al passaggio delle feci lungo l’intestino, e dell’evacuazione, il paziente può essere dimesso.

Responsabile di Chirurgia Generale

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