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Dolore al ginocchio: nuove terapie, quali sono e quando servono

Il dolore articolare ha nuove armi fatte di terapie innovative chiamate terapie biologiche rigenerative, ma anche protesi 3D costruite sull’articolazione del paziente. Le terapie innovative hanno nomi diversi e diversa è l’indicazione. Quali sono e quando servono l’abbiamo chiesto al dottor Francesco Iacono, Responsabile di chirurgia protesica e ricostruzione biologica articolare di Humanitas San Pio X

«Si tratta di terapie che, nel caso delle protesi, vanno a migliorare con l’aiuto della tecnologia, interventi effettuati con impianti tradizionali che già hanno ottimi risultati – spiega l’esperto -. Obiettivo delle terapie biologiche innovative è salvare il ginocchio del paziente, se l’articolazione non è molto danneggiata, risolvere il dolore e la limitazione funzionale, migliorando la qualità di vita del paziente. In ogni caso, il successo di un trattamento è dato dall’indicazione corretta. Per spiegarlo, basti pensare che per tre pazienti di 50 anni con medesime caratteristiche (qualità di vita, attività, lavoro), stesso dolore al ginocchio, stesso danno radiografico limitato (artrosi iniziale – grado 2), ma con caratteristiche cliniche diverse (il primo paziente ha ginocchio in asse, il secondo ha subito una asportazione parziale del menisco a causa di un trauma giovanile, il terzo ha una deviazione costituzionale del ginocchio in varo), le terapie non possono essere uguali. Se al primo paziente (solo artrosi iniziale) può essere indicato il trattamento con cellule mesenchimali, al secondo e al terzo paziente sono indicati specifici interventi (trapianto del menisco, osteotomia valgizzante) eventualmente associati a terapie biologiche».

Quali sono le terapie innovative rigenerative?

Le terapie biologiche rigenerative si possono suddividere in trattamenti da effettuare in sala operatoria:

  • cellule staminali mesenchimali, di cui oggi si parla molto, cellule in grado di differenziarsi e moltiplicarsi, e in caso di tessuto danneggiato, di ripararsi. Le cellule si prelevano dal grasso addominale o dal midollo osseo della cresta iliaca o tibia prossimale
  • trapianto di menisco da donatore, che si integra con le tecniche tradizionali
  • innesto autologo osteocondrale si può effettuare in artroscopia, con una piccola cannula si estrae la zona osteocartilaginea lesionata, e si preleva una carota della stessa dimensione della zona lesa, di solito, dalla troclea femorale superiore sana con cui si va a “tappare” la lesione
  • scaffold di materiali (collagene o biomateriali) si usano per zone più ampie di lesione, in cui non si possono usare innesti autologhi.

Quando non sono indicate?

«Non si tratta di controindicazioni dal momento che, nella maggior parte dei casi, le terapie biologiche rigenerative utilizzano materiale biologico autologo, cioè del paziente stesso su cui viene effettuato il trattamento – prosegue il dottor Iacono -. E’ dimostrato però che queste terapie non sono indicate nei pazienti affetti da malattie infiammatorie autoimmuni (artrite reumatoide, ad esempio) e infezioni».

Quali sono le terapie innovative ma non rigenerative? 

«In caso di artrosi in fase avanzata, la protesi, oggi anche 3D, è considerata la migliore soluzione non rigenerativa. In particolare:

    • protesi tradizionale: da anni, anche nella sostituzione articolare si tende a conservare l’articolazione andando a sostituire solo le parti danneggiate con le protesi mono-bi compartimentali che rispettano biomeccanica e anatomia del ginocchio, con risultati funzionali migliori rispetto alla protesi totale. Il grosso vantaggio è che restano intatti i legamenti, e il paziente elimina il dolore, e si dimentica di avere una protesi. I risultati sono molto soddisfacenti anche con le protesi tradizionali, ma alcuni pazienti (in letteratura sono circa il 15%) hanno dolore dopo la sostituzione protesica standard probabilmente per infiammazione dei tessuti. 
    • protesi 3D: grazie alle nuove tecnologie e l’intelligenza artificiale è possibile realizzare una protesi su misura, personalizzata, che permette di ottimizzare il matching osso-protesi, ovvero la protesi si adegua all’anatomia del paziente e non l’anatomia alla protesi. Non solo la protesi, ma anche la procedura è completamente personalizzata: prima della chirurgia,  viene realizzata al computer la pianificazione dell’intervento sull’articolazione del paziente ricostruita sulle immagini della TAC preoperatoria, in modo da avere il perfetto posizionamento e matching delle componenti protesiche. Per ottenere la personalizzazione totale, vengono costruite con la stampa 3D anche le guide di taglio monouso per resecare solo l’osso necessario all’impianto della protesi. Anche per questa protesi valgono le stesse indicazioni della protesi tradizionale – conclude il dottor Iacono – In futuro la protesi 3D potrebbe andare a sostituire la protesi tradizionale standard con l’obiettivo di ridurre i casi di insoddisfazione dopo l’intervento di protesi tradizionale».

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