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Disagio emotivo da pandemia, perché non sparirà subito

Per molti l’arrivo dei vaccini rappresentava il lumicino alla fine del tunnel, la speranza che presto la situazione difficile che stiamo vivendo a causa della pandemia avrebbe cominciato a risolversi. «Eppure, le soluzioni sembrano concretizzarsi in modo più lento e incerto del previsto e questo non solo prolunga il senso di disagio che già stavamo vivendo, ma insinua nuove sfumature di malessere psico-emotivo nelle persone – spiega il professor Giampaolo Perna, responsabile del Centro di Medicina personalizzata per i disturbi d’ansia e di panico di Humanitas San Pio X e docente di Psichiatria presso l’Humanitas University (Milano). – L’iniziale ansia e paura della primavera scorsa sono state seguite da un momento di speranza con l’arrivo dell’estate, per poi ripiombare nella disillusione durante l’autunno. Per questo, molte persone hanno iniziato ad avvertire un senso di insofferenza, irritabilità, esasperazione, scoraggiamento e anche rabbia, a causa del trascinarsi della situazione negativa. Questo malessere si ripercuote non solo a livello personale, ma anche sui (pochi) contatti sociali che ci sono rimasti»

Isolamento, il grande protagonista del disagio

In un modo o nell’altro, questa misura restrittiva per limitare la trasmissione del virus SARS-CoV-2 ha avuto un impatto nella vita di ogni persona. «L’isolamento sociale non solo si sta rivelando il provvedimento più evidente, ma anche quello più sofferto – chiarisce l’esperto -. Le persone, infatti, sono “esseri sociali” che traggono stimoli positivi dal contatto con gli altri. Ma non solo, il contatto fisico e sociale è necessario per il corretto sviluppo psico-fisico dell’individuo, soprattutto nei bambini e negli adolescenti, e la sua mancanza potrebbe avere delle ripercussioni gravi nella capacità di stabilire relazioni sociali efficaci in futuro. Infatti, l’isolamento porta all’isolamento, e le persone potrebbero chiudersi progressivamente in sé stesse e non essere più capaci di relazionarsi e vivere tranquillamente in un contesto di socialità. Altre conseguenze negative possono riguardare anche le persone che soffrono di agorafobia o ansia sociale che durante la pandemia si sentiranno in un certo senso protette dalla loro ansia, potendo evitare di affrontare le loro paure. In realtà, gli effetti sono negativi anche per queste persone perchè si saranno abituate ad avere la loro “comfort-zone” e non saranno più allenate ad esporsi e affrontare il disagio quando si tornerà alla normalità. Tutte queste condizioni potranno accentuare la situazione di stress che verrà eventualmente tramutata in distress, uno stato psico-fisico tossico che nel lungo termine fa emergere le nostre debolezze e vulnerabilità, come la tendenza ad essere ansiosi e depressi, che possono manifestarsi in maniera intensa e invalidante».

Quali sono le conseguenze psicologiche a lungo termine e come possiamo prepararci

«Gli effetti negativi sulla salute mentale anche dopo la fine della situazione di emergenza sono più che un sospetto – conclude il professor Perna -. Lo confermano i risultati dello studio in corso da parte del team di ricerca sulla salute mentale della Humanitas University che continuerà per i prossimi due anni proprio per esplorare gli effetti post-pandemia. La sfida principale che aspetta gli esperti, in futuro, sarà essere in grado di distinguere condizioni patologiche ansiose o dell’umore dalle reazioni emotive alla pandemia. Infatti, i trattamenti dovranno essere diversi: nel primo caso, bisognerà intervenire con una cura, anche farmacologica, nel secondo, l’approccio deve essere piuttosto di gestione e superamento del disagio. Andrà ricordato che ogni paziente avrà vissuto il periodo di pandemia in modo diverso, avrà sperimentato diversi motivi di sofferenza e avrà avuto strumenti diversi per affrontare le problematiche che si saranno presentate, senza contare che le difficoltà non sono e non saranno solo sanitarie, ma anche economiche, politiche, sociali. Per questo, gli operatori dovranno essere formati per trattare il disagio del paziente in modo personalizzato, per capire i bisogni di ogni persona e aiutarla nel modo più adatto alla sua situazione».

 

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