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Embolizzazione, una possibile alternativa alla chirurgia per trattare i fibromi uterini

I fibromi uterini (o miomi) sono neoformazioni solide che si originano dal tessuto muscolare dell’utero. Rappresentano la neoplasia benigna più frequente nelle donne, tanto che si stima che 1 donna su 3 dopo i 35 anni ne sia portatrice.  «Nonostante non siano sempre sintomatici, spesso i fibromi rendono necessario un intervento specialistico per trattarli – spiega il dottor Dario Poretti, responsabile di Diagnostica per immagini di Humanitas San Pio X -. Fino ad alcuni anni fa le uniche soluzioni erano di tipo chirurgico, ma ultimamente si è affermata un’alternativa radiologica mini-invasiva per eliminare i fibromi uterini: l’embolizzazione. Questa tecnica ha l’obiettivo di bloccare l’apporto sanguigno ai fibromi in modo che, non ricevendo più il loro nutrimento, smettono di crescere, si riducono poco a poco di volume senza che sia necessario intervenire con la chirurgia»

Embolizzazione: prima, durante e dopo

«Per bloccare l’apporto di sangue ai fibromi – dice il dottor Poretti – si utilizzano sostanze embolizzanti veicolate tramite un catetere arterioso applicato prima nell’arteria femorale e poi in quella uterina sotto controllo radiologico. Si procede quindi all’occlusione selettiva dei vasi sanguigni, in modo tale che la sostanza embolizzante blocchi l’apporto sanguigno solo all’area del fibroma. Una volta assicurata la devascolarizzazione, lo specialista sfila il catetere e appone una medicazione compressiva sul punto in cui è stato inserito il cateterino. Tutta la procedura si svolge in una sala angiografica opportunamente sterilizzata e ha una durata media di un’ora. Il trattamento avviene in anestesia locale, anche se nei casi di fibromi di grandi dimensioni si ricorre all’anestesia epidurale. La procedura richiede un giorno di ricovero, e la paziente viene dimessa il giorno dopo l’intervento. In alcuni casi, nel post-intervento si possono presentare fastidi come febbre e nausea, e dolori addominali o pelvici, specie nel caso di fibromi con diametro di 10-12 cm, che durano per qualche giorno e possono richiedere un trattamento antidolorifico apposito. Solo in rari casi è possibile che la paziente sviluppi amenorrea (assenza del ciclo mestruale) transitoria o permanente. Importanti sono i controlli a 2 mesi, 6 mesi, 12 mesi e successivamente, una volta all’anno dopo la procedura, durante i quali, con l’eco-color-doppler viene monitorata la riduzione del volume del fibroma e la scomparsa della rete vascolare»

A quali donne è indicata l’embolizzazione?

«La valutazione in sede di visita radiologica interventistica ha l’obiettivo di valutare l’indicazione alla procedura di embolizzazione – sottolinea il medico radiologo -. Infatti, in alcuni casi specifici, l’embolizzazione dei fibromi non è consigliata:

  • presenza di fibromi uterini asintomatici;
  • abbondante sanguinamento uterino durante le mestruazioni e nei periodi intermestruali (menometrorragie) legate a patologie maligne;
  • donne in trattamento ormonale con progestinici;
  • donne con controindicazioni al cateterismo;
  • donne in gravidanza;
  • donne con ipersensibilità o allergia ai mezzi di contrasto utilizzati per monitorare l’inserimento del catetere

«Invece – conclude il dottor Poretti – possono sottoporsi a questo trattamento le donne con fibromi sintomatici che non siano peduncolati, con persistente sintomatologia emorragica o una sintomatologia che ne minacci l’integrità fisica (gravi emorragie), con presenza di un rischio anestesiologico e operatorio elevato controindicante l’approccio chirurgico classico».

Specialista in Radiodiagnostica
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