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Prostata: quando e a cosa serve la risonanza magnetica multiparametrica?

I grandi miglioramenti tecnologici nei software e nei macchinari hanno ampliato il ruolo della risonanza magnetica della prostata nella gestione del cancro alla prostata in molti contesti clinici, sia prima che dopo la diagnosi. Per capire a cosa serve la risonanza magnetica della prostata, abbiamo chiesto al dottor Dario Poretti, responsabile di Diagnostica per immagini di Humanitas San Pio X.

RM multiparametrica: l’esame per la diagnosi e l’indirizzo terapeutico   

«I progressi chiave che hanno contribuito ad ampliare l’utilità clinica della risonanza magnetica (RM) della prostata – spiega il dottor Poretti -, riguardano l’uso di magneti ad alta intensità di campo (3 Tesla), l’uso di una sonda endorettale (bobina rettale) durante l’esame per migliorare la risoluzione spaziale e ridurre il movimento locale della prostata durante l’esame (sebbene il suo uso sia sempre meno frequente grazie alle nuove apparecchiature), e lo sviluppo di un nuovo set di sequenze di imaging che possono essere utilizzate in combinazione. Quest’ultima caratteristica definisce la cosiddetta risonanza multiparametrica della prostata che, grazie agli aggiornamenti tecnologici, ha permesso di migliorare sia l’identificazione che la tipizzazione delle lesioni tumorali, fornendo agli specialisti informazioni fondamentali per la decisione del trattamento più adatto». 

RM multiparametrica: a cosa serve?

«La capacità di rilevare i tumori e distinguere tra quelli confinati all’organo e quelli che si estendono oltre la prostata è una componente importante del processo decisionale del trattamento – prosegue l’esperto -. Verificando lo stato di confinamento della lesione tumorale e la valutazione della stadiazione, la risonanza magnetica prostatica aiuta a sostenere la decisione di eseguire un intervento chirurgico radicale di prostatectomia (con o senza risparmio dei nervi), valutando lo stato dei linfonodi pelvici e stabilendo la posizione e l’estensione locale del tumore nei pazienti considerati per la radioterapia.

Molto importante ai fini del percorso terapeutico da proporre al paziente è il fatto che con la risonanza magnetica è possibile identificare tumori nascosti in regioni anatomiche della prostata che in genere non vengono campionate durante la biopsia, come l’interno della zona anteriore della prostata, o che possono essere campionate in modo inadeguato. Infatti, la risonanza magnetica prostatica aiuta anche a “scovare” piccoli tumori nascosti di alto grado (Gleason 8-10), anche tra i pazienti che già hanno avuto una diagnosi di tumore prostatico ma clinicamente a basso rischio (Gleason 2-6). Dal momento che la sua precisione nella rilevazione della malattia clinicamente significativa è piuttosto elevata (tra il 68 e il 100%), una risonanza magnetica negativa può fornire la rassicurazione ai pazienti che la loro malattia è veramente a basso rischio, e quindi può aiutare a scegliere un approccio di sorveglianza attiva. Infatti, anche le linee guida internazionali affermano che i maschi che scelgono la sorveglianza attiva dovrebbero ricevere un’accurata stadiazione della malattia che includa una biopsia con guida ecografica o RM.

Infine, la risonanza magnetica multiparametrica permette di differenziare la malattia locale residua dalla diffusione metastatica nei maschi che presentano una recidiva dopo la radioterapia per tumore localizzato e, sottoposti a biopsia prostatica, questa risultata negativa. E nei pazienti in cui è presa in considerazione la prostatectomia adiuvante (o di salvataggio), la risonanza magnetica è utile per identificare l’invasione della vescicola seminale o l’estensione extraprostatica, caratteristiche che identificano i maschi che difficilmente raggiungeranno il controllo della malattia a lungo termine».

Risonanza magnetica, prima o dopo la biopsia?

«Le evidenze cliniche ad oggi disponibili suggeriscono che, nel percorso diagnostico per un sospetto cancro alla prostata, effettuare la risonanza magnetica prima della biopsia (risonanza prebioptica) aiuta a migliorare la diagnosi della malattia clinicamente significativa, ridurre gli effetti avversi della biopsia oltre ad evitare biopsie non necessarie in alcuni individui» conclude il dottor Poretti.

Specialista in Radiodiagnostica

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